A una svolta le politiche espansive di Usa ed Europa: dai sussidi alle vere riforme

di Fabrizio Pagani*

Il governo Draghi si insedia in un momento topico del dibattito di politica economica che coinvolge Stati Uniti e Europa. Mentre sul lato della politica monetaria, le banche centrali, Fed e Bce, hanno fornito visibilità sulle loro intenzioni nel medio termine. In particolare la Bce ha confermato che continuerà il programma di acquisto di titoli di Stato e altre securities per un massimo di 1.850 miliardi di euro fino al marzo 2022 e se necessario anche oltre. Parimenti, la Fed ha ribadito, nella sua ultima riunione, di voler proseguire nell’acquisto di 120 miliardi di dollari al mese di asset. Meno chiaro è quello che avverrà sul lato della politica fiscale, ed è qui che si avranno le prime indicazioni sull’atteggiamento che terrà l’esecutivo Draghi in materia economica. 

Sulle scelte di politica di bilancio è in corso un acceso dibattito che ha visto lo schierarsi di pesi massimi tra opinion leader economici mondiali, da Krugman a Summers, da Stiglitz a Blanchard e molti altri. Tutti generalmente concordano che nel breve termine le politiche debbano rimanere fortemente espansive e che non possa essere ridotto il supporto ad economie che ancora soffrono di restrizioni e vincoli necessari per la lotta alla pandemia. Le opinioni divergono invece su cosa fare nel medio termine. La discussione è particolarmente attuale negli Stati Uniti, dove è oggetto di esame del Congresso un pacchetto di stimolo fiscale di 1,9 triliardi di dollari. L’amministrazione Biden ha politicamente investito tutto il suo peso su questa manovra, forte anche del prestigio del nuovo Segretario al Tesoro Janet Yellen. I critici di questo piano temono una eccessiva iniezione di denaro nell’economia, che porterebbe ad inflazione e quindi a un possibile rialzo dei tassi da parte della Fed, inducendo il Paese in recessione. Altri invece ricordano che il prematuro ritiro del supporto all’economia dopo la grande crisi finanziaria determinò nei primi anni dell’amministrazione Obama un importante rallentamento della crescita americana. 

Questo dibattito arriverà ben presto in Europa, da un lato per i riflessi che lo stato di salute dell’economia americana ha sul continente e dall’altro per le decisioni stesse che gli europei dovranno prendere. Ieri si è svolta una riunione dell’Eurogruppo che, secondo la dichiarazione del suo presidente, l’irlandese Paschal Donohoe, ha ribadito la volontà di mantenere politiche di espansive «per tutto il tempo necessario». I Paesi Ue ritengono che ritirare troppo presto il supporto all’economia sia più rischioso di quanto sia farlo troppo tardi. Ma il coordinamento della fiscal stance europea rimane piuttosto fiacco, in assenza del quadro del Patto di Stabilità e Crescita, che, com’è noto, è sospeso almeno per tutto il 2021. Per l’Italia significa che potremo mantenere i meccanismi di aiuto messi in campo. In molti però, in Italia e all’estero, esamineranno da vicino non solo queste misure di aiuto, ma anche come il governo vorrà trasformarle in misure di rilancio: da sussidi a incentivi, da moratorie del credito a ricapitalizzazione delle imprese, da cassa integrazione a programmi di formazione per nuove competenze. Le premesse perché ciò avvenga vi sono tutte. Chi meglio di Mario Draghi può partecipare a questo dibattito globale? E adesso con il pensiero e con l’azione, come avrebbe detto Benedetto Croce. 

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*capo strategie di Muzinich&Co

Articolo tratto da “Milano Finanza” del 17/02/2021