Cina, i surplus record attenuano l’impatto negativo della frenata

Tra attivo commerciale e bilancia dei pagamenti quasi 900 miliardi
Gli investitori esteri non retrocedono: nel 2021 acquistati bond per 90 mld

Una vera e propria manna legata alla pandemia si è abbattuta su Pechino, le merci cinesi e i titoli redditizi in valuta locale hanno calamitato risorse immense alle quali si sommerà la liquidità innescata dai recenti tagli al prime rate, ai tassi a breve e alle riserve obbligatorie della Banca centrale a sostegno della crisi del settore immobiliare.

Piuttosto che essere percepito come un elemento di fragilità – ricordiamo l’effetto boomerang dell’iniezione di liquidità anti-crisi 2008 -, tanta ricchezza ne attira altra, il mondo scommette sulla Cina e sui titoli cinesi grazie alla stabilità del cambio e all’inflazione (per il momento) contenuta. La musica potrebbe cambiare con l’aumento dei tassi decisi dalla Fed che di recente ha stigmatizzato proprio la fragilità nel mattone cinese, in grado di contagiare anche gli Stati Uniti con vendite a cascata di titoli in dollari. Gli effetti dell’aumento dei tassi Usa sul differenziale dei rendimenti dei titoli onshore potrebbe riservare brutte sorprese, anche per questo Pechino deve muoversi con grande cautela sullo scacchiere politico globale.

Non sorprende che Qin Gang, l’ambasciatore cinese negli Usa, venerdì scorso abbia ritirato il premio dell’autorità portuale del Massachusetts, Massport, perchè la rotta del commercio con la Cina ha creato 400mila nuovi posti di lavoro americani: il surplus commerciale andrà per la sua strada, già oggi Shanghai, da sola, vanta un volume da 640 miliardi, +16,5, è primo partner commerciale della Ue che, dal canto suo, stando ai dati Eurostat, nel 2021 da gennaio a novembre ha incassato un deficit da 8,3 miliardi di euro e, per la prima volta dal gennaio 2014, un trade deficit mensile.

Se il Fondo Monetario abbassa a 4-4,5 la crescita cinese del 2022, gli investitori esteri dal canto loro, insistono.

Nel 2021 hanno già acquistato azioni in obbligazioni sovrane cinesi per altri 90,9 miliardi di dollari, al ritmo più veloce mai registrato finora nonostante la Spada di Damocle di Evergrande & co. L’investimento in azioni e obbligazioni denominati in yuan da investitori offshore a dicembre è salito a 23 miliardi, il valore più alto da dodici anni a questa parte.

Come ha utilizzato la Cina queste risorse? La National Development and Reform Commission (NDRC) nel 2021 ha approvato 90 progetti da 122 miliardi di dollari in investimenti fissi nel settore del trasporto, energia, acqua, e industrie dell’IT. Gli investimenti fissi cinesi nel 2021 sono cresciuti del 4,9% e secondo Ning Jizhe, il numero due della NDRC, «la Cina ha il potenziale e l’incentivo per espandere questi investimenti con una politica monetaria e fiscale adeguata».

Musica per le orecchie degli investitori nell’anno della Tigre d’acqua ormai alle porte.

Wenchang Ma, co-manager dell’All China Equity di Ninety One prevede che «i titoli azionari di alcune società cinesi che servono principalmente il mercato interno hanno il potenziale per performare relativamente bene, meglio concentrarsi sulle società cinesi orientate al mercato interno, può essere un modo intelligente per gestire uno dei probabili grandi rischi: l’inasprimento delle tensioni geopolitiche, specie con gli Usa».

Nel reddito fisso, invece, in uno scenario di bassi tassi di default, le obbligazioni corporate rimarranno un asset interessante, specie con la Cina, poi, considerata «il più grande creditore al mondo». Per Wilfred Wee, portfolio manager dell’All China Bond, «l’economia cinese seguirà un percorso indipendente: le prospettive di crescita e inflazione relativamente stabili la distinguono dalle economie di altri mercati obbligazionari, dove il rischio di rialzi dei tassi è maggiore.

L’offshore cinese in dollari USA (vale 700 miliardi di dollari), potrebbe addirittura sovra-performare, mentre quello cinese onshore denominato in yuan (addirittura 20 trilioni di dollari), potrebbe offrire ai capitali esteri un potenziale di diversificazione».

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Articolo tratto da “Il Sole 24 Ore” del 26/01/2022