Clima, dichiarazione Cina-Usa per potenziare gli impegni

I due principali inquinatori del pianeta uniscono le forze contro le emissioni nocive
Ultimi negoziati sul testo finale: il 2030 è la data per un taglio del 45% del CO2

GLASGOW

Le prove di disgelo tra Cina e Stati Uniti investono a sorpresa la Cop26. Xi Jinping e Joe Biden si incontreranno la settimana prossima, da remoto. Gli effetti si sentono già al vertice Onu in Scozia, dove il primo e il secondo maggior inquinatore al mondo hanno sottoscritto una dichiarazione congiunta sul clima. Una svolta, dopo la frenata di alcuni Paesi sulla bozza di dichiarazione finale. Un «aiuto verso l’accordo qui a Glasgow», ha commentato il commissario Ue, Frans Timmermans.

Disgelo sul clima

Divise su tutto da tensioni crescenti, Washington e Pechino sembrano aver trovato un terreno d’intesa proprio alla Cop26, alla quale Xi Jinping non ha partecipato di persona, attirandosi le critiche di Joe Biden. La dichiarazione congiunta è stata presentata dal capo negoziatore cinese, Xie Zhenhua, e dall’inviato Usa, John Kerry, in conferenze stampa separate. Prevede un comitato bilaterale che si riunirà a partire dalla metà del 2022 per «potenziare l’azione sul clima» nel decennio in corso. Obiettivo: mantenere l’aumento delle temperature sotto i 2 gradi e attorno a 1,5. Tra gli effetti della distensione c’è una spinta forte alla creazione di un mercato mondiale delle emissioni di CO2. Usa e Cina sono divise su molte questioni, ma sul cambiamento climatico «non hanno scelta» se non collaborare, ha detto Kerry.

La bozza

La mattinata si era aperta con la pubblicazione della bozza di documento finale della Cop26 e le resistenze scattate immediatamente. I ministri e i negoziatori di quasi 200 Paesi continueranno a confrontarsi fino a domani (almeno) sulla proposta diffusa dalla presidenza del vertice. Il premier Boris Johnson ci mette tutto il suo peso. Ieri è tornato a Glasgow per suonare la carica.

Il documento preliminare esorta i Paesi a rafforzare i piani nazionali per il clima entro la fine del 2022, per allineare all’Accordo di Parigi gli obiettivi con orizzonte 2030. È una delle richieste avanzate dalle nazioni più vulnerabili agli impatti del cambiamento climatico.

La bozza chiama gli Stati ad accelerare «l’addio al carbone e ai sussidi ai combustibili fossili»: il passaggio sarebbe un inedito per una Cop e un segnale chiaro, anche se non viene indicata una data limite. Le resistenze sono già molto decise.

Il documento indica poi al 2030 la data entro la quale tagliare le emissioni di CO2 del 45% rispetto ai livelli del 2010 (la Ue ha un obiettivo del 55% rispetto ai livelli del 1990). Lo “zero netto” dovrebbe essere raggiunto entro la metà del secolo, un linguaggio analogo a quello usato nel comunicato finale del G20 di Roma. Ma l’India ha già dichiarato che non lo farà prima del 2070. Russia, Cina, Arabia Saudita puntano al 2060.

La bozza prova a tenere vivi gli obiettivi di Parigi e li ribadisce: limitare ben sotto 2 gradi e attorno a 1,5 l’aumento delle temperature del pianeta. Una lunga serie di report scientifici, usciti anche in questi giorni, prevedono aumenti superiori ai 2 gradi.

Il documento esorta i Paesi sviluppati a «incrementare urgentemente» il sostegno finanziario a quelli in via di sviluppo per rispondere alle loro esigenze di adattamento al climate change. Prima tappa: rispettare la promessa di mobilitare 100 miliardi di dollari l’anno. Lo si doveva fare il 2020, ci si riuscirà forse tra il 2022 e il 2023.

Il fronte delle fossili

Il fuoco di sbarramento è iniziato subito. New Delhi si oppone alla richiesta di accelerare l’addio al carbone e ai sussidi sui combustibili fossili. Lo ha dichiarato il segretario all’Ambiente, Rameshwar Prasad Gupta. L’India pretende poi che siano i Paesi avanzati a finanziare la sua transizione energetica e chiede mille miliardi di dollari entro il 2030 solo per sé, per consentirle di investire in energia pulita e rispondere all’impatto del climate change. New Delhi non presenterà un piano climatico aggiornato, fino a quando non vedrà un impegno concreto su quei fondi. Quello attuale risale al 2015.

L’India è terza al mondo per emissioni di CO2, ma lamenta che, storicamente, sono i Paesi sviluppati ad avere la maggiore responsabilità per il global warming.

Anche il Brasile chiede di più dai Paesi avanzati sul fronte degli aiuti, come fanno a gran voce le economie a basso reddito: i 100 miliardi di dollari promessi nel 2009 «non sono più sufficienti per consentire al mondo di costruire una nuova economia verde, con una transizione sostenibile», ha detto il ministro per l’Ambiente brasiliano, Joaquim Leite.

Insieme all’India, sui combustibili fossili, frenano anche l’Opec e l’Arabia Saudita. «La narrativa secondo la quale la transizione energetica significa l’uscita dal petrolio e da altri combustibili fossili per andare verso le rinnovabili è fuorviante», ha detto il segretario generale dell’Opec, il nigeriano Mohammed Barkindo. Mentre il ministro dell’Energia di Riad, il principe Abdulaziz bin Salman Al-Saud, ha invitato ad abbandonare i «pregiudizi verso o contro particolari forme di energia». A Glasgow, l’Arabia Saudita è accusata di ostacolare i negoziati, anche con tattiche ostruzionistiche, che Abdulaziz ha negato.

La risposta europea

Per Berlino, il documento finale della Cop26 dovrebbe chiarire che i principali responsabili delle emissioni devono intensificare i loro sforzi, «in particolare quelli che non hanno fatto abbastanza rispetto ai target 2030», come ha affermato Jochen Flasbarth, segretario di Stato al ministero dell’Ambiente. Sulla stessa linea il commissario Ue al Clima, Timmermans.

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Fonte

Articolo tratto da “Il Sole 24 Ore” del 11/11/2021