Contrarian
di Monica Defend
Il dibattito sull’inflazione è ritornato in auge. Quest’anno la fragilità del mercato del lavoro frenerà la dinamica dell’inflazione nonostante le dimensioni del pacchetto fiscale americano e «il momento di agire in grande» del segretario al Tesoro Usa, Janet Yellen. Il mercato del lavoro negli Stati Uniti non ritornerà ai livelli precrisi nemmeno nel 2022. Esistono divergenze in termini occupazionali in diversi settori e un divario di competenze che hanno aggravato le disuguaglianze. La ripresa del mercato del lavoro sarà a macchia di leopardo e richiederà del tempo, raffreddando quindi le spinte inflazionistiche perlomeno nel 2021. Stimiamo che il vuoto di pil negli Usa si aggirerà attorno ai 900 miliardi di dollari; tale dato va contestualizzato all’interno dei dati sul mercato del lavoro. Le dimensioni, e in particolare la destinazione del pacchetto fiscale nel 2022/2023, potrebbero determinare un cambiamento strutturale negli Usa in termini di produttività e di dinamismo del mercato del lavoro. Ci attendiamo un rialzo dei breakeven sulla scia delle misure di stimolo fiscale e della ripresa della crescita. Inoltre, i segmenti 5/30 anni delle curve dei tassi reali potrebbero irripidirsi ancora. Il segmento dei tassi a 5 anni dovrebbe continuare a scendere vista l’attitudine della Federal Reserve a mantenere i tassi bassi e a tollerare un aumento dell’inflazione, mentre il segmento lungo dei tassi sconterà gli ulteriori stimoli fiscali e una ripresa più veloce. Pur essendo convinti che vi sia un limite al rialzo del segmento lungo della curva (il rendimento dei Treasury decennali all’1,50% rimane fondamentale per noi), la Fed potrebbe tollerare un lieve aumento dell’inflazione perché il servizio del debito dovrebbe diventare più agevole (e compensare un aumento moderato e graduale dei tassi). Per questo motivo, crediamo che gli investitori dovrebbero mantenere una certa cautela riguardo alla duration Usa e rimanere costruttivi sui titoli indicizzati all’inflazione Usa. Per contro, una tolleranza leggermente superiore nei confronti dell’inflazione da parte della Fed, da cui non sono attese mosse anticipate di rialzo dei tassi, probabilmente verrà ben accolta dai mercati azionari. Siamo fiduciosi nei titoli ciclici, value e in quelli dei mercati emergenti. La gestione della crisi da Covid-19 e la lotta alla proliferazione di nuovi ceppi virali continueranno a svolgere un ruolo di primo piano, visto che il mercato non sta prendendo in considerazione altri problemi di natura sanitaria (questo è un rischio importante). Le azioni dovrebbero offrire una buona protezione contro un cambiamento di regime dell’inflazione indotto da una crescita più vigorosa, dal miglioramento dei fondamentali societari e dal costo unitario del lavoro più elevato che potrebbe essere trasferito ai consumatori. L’analisi sui rendimenti mensili da noi condotta a partire dal 2000 indica che storicamente il rialzo dell’inflazione di breakeven e il calo dei tassi reali hanno innescato una correzione del dollaro Usa. Prevediamo una perdurante debolezza del biglietto verde nei confronti delle valute correlate alle materie prime e un suo relativo vigore nei confronti delle valute a basso rendimento (in particolare il franco svizzero e lo yen). Nel secondo semestre questo trend potrebbe subire una battuta d’arresto e il contesto potrebbe risultare più contrastato per il dollaro americano. Quando i breakeven raggiungeranno il punto di caduta e inizieranno a diminuire (mentre i tassi reali saliranno), potrebbe verificarsi un rafforzamento del biglietto verde. Non abbiamo ancora raggiunto questo punto, ma riteniamo che questo sia un rischio importante da tenere sotto osservazione.
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Amundi Asset Management
Articolo tratto da “Milano Finanza” del 09/03/2021