Contrarian

di Fabrizio Pagani

Sono giorni ricchi di dati economici e di previsioni. Anzitutto l’Istat ha fornito i dati sul pil italiano nel quarto trimestre 2020 e una prima stima sull’intero anno. Sono state sostanzialmente confermate le attese di un calo sull’anno di circa 9 punti percentuali. Male anche le indicazioni che vengono dal mercato del lavoro, con una contrazione a dicembre dell’occupazione di oltre 100.000 unità. Questo dato è particolarmente doloroso perché la riduzione in larghissima misura si abbatte sull’occupazione femminile, che in Italia è già tra i più bassi dei Paesi Ocse. Negli Stati Uniti, invece, il Congressional Budget Office ha rivisto al rialzo la crescita americana, indicando un rimbalzo del pil nel 2021 del 4,6%, che porterebbe l’economia ai livelli pre-pandemia già a metà di questo anno. E in questa previsione non è incluso l’effetto del pacchetto di politica fiscale da 1.900 miliardi di dollari dell’amministrazione Biden. Anche il Fondo Monetario ha alzato le previsioni di crescita a livello globale dello 0,3% rispetto alle proiezioni di ottobre scorso, in particolare con un aumento di ben 2% per gli Stati Uniti. Al contrario, il Fondo riduce le stime per l’area Euro dell’1% e tra i Paesi Euro indica in particolare nell’Italia (-2,2% rispetto a ottobre) quello che meno avrebbe capacità di cogliere la ripresa. Ci si deve quindi domandare se siamo di fronte a un nuovo decoupling tra economia europea ed economia americana. Stiamo assistendo alla ripetizione di quanto avvenuto dopo la grande crisi finanziaria del 2008-2009, quando gli Stati Uniti uscirono rapidamente dalla recessione mentre l’Europa si trascinava per anni con bassi livelli di crescita? La risposta alla domanda dipenderà dalle scelte di politica economica che le due economie continentali, Eurozona e Stati Uniti, adotteranno nei prossimi mesi. Sul lato monetario infatti vi è una sintonia tra Fed e Bce: tassi bassi e, con le dovute differenze, operazioni di acquisto sul mercato di titoli sovrani e corporate. Sul lato fiscale, la nuova amministrazione Usa sta spingendo per uno stimolo pari a quello dell’inizio del 2020; non sappiamo se questo pacchetto passerà al Congresso nelle dimensioni proposte, ma è certo che uno stimolo ingente vi sarà. Per quanto riguarda l’Eurozona, le prospettive sono meno chiare. In questo periodo di emergenza, la stance fiscale è tornata nel pieno possesso dei governi nazionali, data la sospensione delle regole europee su deficit e debito. Vi è tuttavia un dibattito, in parte sottotraccia e tra economisti, sull’ampiezza che la politica espansiva deve prendere. Ciascun Paese della zona Euro interpreta questo dibattito in maniera diversa : da proposte di rompere il tabù dello Schwarze Null in Germania a rinnovate, crescenti ansie per un debito che ha superato il 120% del pil in Francia. Un autorevole analista ha parlato di una «vecchia guardia» di economisti e politici che rimangono ossessionati dal debito pubblico, e in particolare dal rapporto debito pubblico/pil. Altri, tra cui il capo economista dell’Ocse, propongono un «nuovo quadro concettuale» che prescrive che i Paesi mantengano politiche di bilancio espansive per tutto il tempo necessario a superare la crisi, rilanciare l’economia e ridurre la disoccupazione. In questo ambito la riduzione del debito può attendere. Anche su questo sarà chiamato a prendere una posizione il nuovo esecutivo italiano.

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di Fabrizio Pagani

Articolo tratto da “Milano Finanza” del 04/02/2021