Fed: crescita al 6,5% ma nessun rialzo dei tassi prima del 2024
di Marco Valsania
La Federal Reserve solleva il sipario su previsioni d’un robusto rilancio della crescita negli Stati Uniti. Ma non lo cala sulle sue politiche di sostegno all’economia – tassi azzerati fino al 2024 e continui acquisti di bond – che considera tuttora necessarie per adeguati recuperi. Per assicurare quegli «ulteriori, sostanziali progressi» che agli occhi della Fed devono sanare le ripercussioni della crisi da pandemia, a cominciare dal mercato del lavoro.
Wall Street, che temeva indicazioni su strette nel costo del denaro all’orizzonte in risposta a riscosse economiche, ha tirato un sospiro di sollievo, con gli indici Dow Jones (che ha chiuso per la prima volta sopra quota 33.000), S&P 500 e Nasdaq in rialzo.
Il Pil Usa, nel nuovo outlook mediano dei vertici della Banca centrale, avanzerà quest’anno al passo del 6,5% invece che del 4,2% finora ipotizzato. Seguiranno una crescita del 3,3% nel 2022 e del 2,2% nel 2023. La disoccupazione diminuirà al 4,5% entro dicembre. L’inflazione quest’anno lieviterà del 2,4%, sopra il target ideale, ma sarà una fiammata per poi tornare attorno al 2%.
La diagnosi dell’economia evidenzia sia elementi di forza che, ancora, di debolezza da superare: «Dopo una moderazione nel passo della ripresa, gli indicatori di attività economica e occupazione sono migliorati». Ma i settori più colpiti dalla pandemia «restano deboli».
I tassi d’interesse, in questo quadro, per la maggioranza dei 18 esponenti del vertice Fed rimarranno a zero fino a tutto il 2023. Unico segno di dubbi, al momento, è l’aumento da cinque a sette nel numero di alti funzionari che scommettono su una stretta invece tra il 2022 e il 2023. La Fed proseguirà inoltre oggi negli acquisti di titoli del Tesoro e bond garantiti da mutui per almeno 120 miliardi di dollari al mese.
Il chairman Jerome Powell, nella conferenza stampa seguita a due giorni di vertice, ha affermato che l’outlook più robusto è stato possibile proprio grazie ad «azioni fiscali e di politica monetaria senza precedenti». Ha però ribadito che la politica monetaria intende offrire «forte supporto all’economia finché la ripresa non sarà completa», con «massima occupazione» e inflazione stabilmente al 2% o leggermente oltre. Ha definito la ripresa «diseguale» e il cammino «incerto», pronosticando che significativi passi avanti «richiederanno tempo».
Sostenuta anche da accelerazioni nelle campagne di vaccinazioni, l’economia statunitense ha ormai convinto numerosi analisti a rivedere al rialzo le attese di crescita e ad affidarle un ruolo di locomotiva mondiale. L’Ocse si aspetta a sua volta una marcia al 6,5% nel 2021. Commentando sulla divergenza nella ripresa rispetto all’Europa, Powell si è limitato ad augurarsi che quest’ultima «cresca più rapidamente» e ha sottolineato che una forte domanda Usa potrà aiutare l’attività globale.
La schiarita americana non è senza sfide. Ha generato di recente tensioni sui mercati, alimentando ipotesi d’inflazione e interrogativi sulle prospettive di politica monetaria: i rendimenti dei titoli decennali del Tesoro sono lievitati ai massimi dal febbraio 2020 e i tassi sui mutui trentennali sopra il 3% per la prima volta da luglio.
La Fed ha ripetutamente chiarito di considerare pressioni sui prezzi transitorie e non preoccupanti per la crescita. Resta da verificare l’efficacia in futuro delle rassicurazioni.
L’ultima spinta alla ripresa è arrivata dalla Casa Bianca di Joe Biden: un maxi-piano di aiuti a famiglie, disoccupati e aziende da 1.900 miliardi. A ieri 90 milioni di assegni per quasi 300 miliardi erano stati distribuiti. Neppure qui le incognite sono svanite: se la disoccupazione è scesa al 6,2%, Powell ha ricordato che mancano all’appello 9,5 milioni di impieghi e che il tasso di senza lavoro sottovaluta il problema.
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Articolo tratto da “Il Sole 24 Ore” del 18/03/2021