I veicoli democratici
PRIVATE EQUITÀ li strumenti di private capital a disposizione degli investitori individuali hanno un patrimonio di 3,75 miliardi. E il 79% dei family office prevede di aumentare la sua quota. La gamma delle offerte
di Stefania Peveraro
C ’è sempre più private capital nei portafogli degli investitori privati e ormai non soltanto più in quelli di chi ha a disposizione patrimoni importanti come le grandi famiglie di imprenditori, che investono attraverso loro strutture di family office o multi-family office, ma anche chi è semplicemente un buon cliente di una private bank con qualche milione di patrimonio e chi al milione nemmeno ci arriva. Anzi ormai il mercato è ricco di opportunità di investimento in private capital che sono davvero alla portata di tutti. Basti pensare che tra fondi in raccolta e fondi che l’hanno chiusa da poco, a disposizione degli investitori cosiddetti retail italiani, ci sono veicoli che puntano a una potenza di fuoco complessiva di almeno 3,75 miliardi di euro. Il calcolo è di BeBeez, sulla base degli annunci condotti negli ultimi due anni relativi ai soli veicoli che prevedono ticket minimi di investimento massimi non superiori ai 100 mila euro. Peraltro, come evidenziato in tabella, la maggior parte di questi prodotti è ben al di sotto di questa soglia e si colloca sui 10 mila euro. Evidentemente tanta offerta si giustifica con un’altrettanta forte domanda. Quello che infatti accomuna gli investitori di tutte le taglie oggi è la ricerca di un rendimento più ricco di quello offerto dai tradizionali mercati finanziari quotati. Così anche un investitore individuale può immaginare di replicare almeno una parte dell’asset allocation degli investitori istituzionali e dei family office. Lo sostiene anche l’ultima Family office Survey di PwC, in collaborazione con Mondo Institutional, a valle di un sondaggio condotto tra 36 tra i più importanti family office con sede legale in Italia e nella Svizzera italiana. Si tratta di un campione significativo, visto che lo scorso settembre in una ricerca congiunta, la School of Management del Politecnico di Milano e il Centro sul Family Business Management della Libera Università di Bolzano, avevano calcolato che i family office attivi oggi in Italia sono 178, di cui 169 italiani e 9 che operano all’estero. Dalla ricerca di PwC-Mondo Institutional emerge nel dettaglio che il 79% degli intervistati prevede di aumentare gli investimenti in quote di fondi di private equity e venture capital dopo che nel 2020 questi investimenti erano arrivati a pesare per il 13% sul totale del portafoglio dal 10% del 2019. Inoltre, il 71% degli intervistati prevede di incrementare anche il peso degli investimenti diretti in società, co-investimenti e partecipazioni a club deal (sia di equity sia di debito), che era già salito al 7% del portafoglio nel 2020 dal 6% del 2019. Detto questo, tornando all’offerta di strumenti sottoscrivibili, in primo luogo ci sono gli Eltif, (European long term investment fund), introdotti come struttura nella normativa europea nel 2011 e recepiti in Italia nel 2018. Ma il vero boom c’è stato nel 2020, quando il decreto Rilancio (Dl n. 34 del 19 maggio 2020), ha introdotto accanto al regime dei Pir ordinari quello dei Pir alternativi, gruppo che ha inglobato anche gli Eltif. La normativa sui Pir ha introdotto un regime di non imponibilità ai fini delle imposte sui redditi per i proventi di natura finanziaria (dividendi e capital gain) e un regime di non imponibilità ai fini dell’imposta di successione e che i Pir alternativi beneficiano di norme ancora più vantaggiose. In particolare con il decreto Agosto del 2020 (Dl del 14 agosto 2020, n. 104) è stato aumentato l’ammontare annuo massimo dell’investimento in un Pir alternativo che può essere oggetto dell’incentivo a 300 mila euro e quello complessivo dello stesso Pir a euro 1,5 milioni, a fronte di valori ben più bassi per i Pir ordinari, per i quali tali ammontari sono pari rispettivamente a 30 mila e 150 mila euro. In sostanza, oggi, se chi struttura un Eltif che sia destinato anche al mercato italiano decide di rispettare le caratteristiche richieste dalla normativa sui Pir alternativi, si trova a beneficiare di importanti incentivi fiscali e infatti non a caso da un recente studio della Commissione Ue, condotto in preparazione della Revisione del regolamento relativo ai fondi di investimento europei a lungo termine (Eltif) , ha calcolato che l’Italia è il Paese nel quale sono distribuiti più Eltif: ben 22 contro i 17 della Francia al secondo posto in classifica, seguita dalla Spagna con 15. Il tutto su un totale di 57 Eltif autorizzati alla commercializzazione in tutta l’area Ue. Certo, per godere di questi benefici, i Pir alternativi hanno vincoli di investimento più specifici e vincoli di concentrazione più laschi, ma questo è assolutamente compatibile con investimenti di private capital. A fare la parte del leone su questo mercato in Italia è sicuramente il gruppo Azimut, con non solo con una nutrita batteria di Eltif, ma anche con fondi non riservati che hanno addirittura ticket minimo di investimento di 5 mila euro, in perfetta linea con il concetto di democratizzazione dei private market che ormai da due anni è una delle strategie principali di sviluppo del business del gruppo di asset management quotato a Piazza Affari. Lo slancio di Azimut sarà però addirittura superato quando l’anno prossimo si quoterà Hope, acronimo di Holding di Partecipazioni Economiche, la prima Sicaf retail classificata come Pir alternativo che si quoterà appunto a Piazza Affari, con una ipo destinata sia agli istituzionali sia ai piccoli investitori, che potranno investire a partire da un minimo di mille euro. Hope investirà, da un lato, in imprese italiane in ottica di private equity ma dall’altro anche in sistemi urbani, quindi in real estate ma anche in infrastrutture ecosostenibili. Peraltro sul mercato italiano sono già quotati da tempo veicoli di investimento di private equity e di venture capital. Ci sono infatti per esempio Tip Investments Partners, Italmobiliare, First Capital, LVenture Group, 4Aim Sicaf, H-Farm. Fuori dalla portata degli investitori retail è invece NB Aurora, che essendo quotata sul segmento MIV può essere negoziato solo da investitori istituzionali e professionali. E su Euronext Access è quotata l’italiana Innovative-Rfk. Ma non è tutto, perché alla portata degli investitori retail c’è tutta una batteria di veicoli di investimento che sta utilizzando le piattaforme di equity crowdfunding per raccogliere capitali tra il crowd da investire poi in pmi e startup italiane ed estere. Infine c’è poi sempre la possibilità per un privato di investire in prestiti e fatture di pmi trattate su alcune piattaforme fintech. Ma questa possibilità sta via via riducendosi perché le piattaforme preferiscono prendere accordi con investitori specializzati che garantiscono grandi volumi.
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Articolo tratto da “Milano Finanza” del 11/12/2021