Il passaggio generazionale fra l’equità e l’uguaglianza
Al bivio dell’eredità
di Alfredo De Massis
Una recente ricerca ha messo in luce che tre quarti dei capitalisti familiari italiani pianifica di suddividere il proprio patrimonio in parti uguali tra i propri figli o eredi. Esattamente come è avvenuto nel caso di Leonardo Del Vecchio.
Il fondatore di Luxottica, scomparso lo scorso 27 giugno, ha diviso Delfin Sarl, la holding finanziaria di diritto lussemburghese cassaforte della famiglia imprenditoriale, in otto parti uguali (pari al 12,5% della compagine azionaria) e ha destinato ciascuna quota a un familiare: i suoi sei figli, la moglie Nicoletta Zampillo e il figlio di lei Rocco Basilico.
Ma questa tendenza tutta italiana di prediligere l’equality (uguaglianza) rispetto all’equity (equità) rappresenta sempre la decisione giusta per preservare il patrimonio nel tempo?
L’attività di ricerca, formazione e supporto alle famiglie imprenditoriali italiane e internazionali che ho condotto nel tempo mi porta a dire che, in linea di principio, confondere equality ed equity può risultare problematico.
Sono almeno due le lezioni che possiamo apprendere dai dilemmi affrontati da Leonardo Del Vecchio, nel momento in cui ha effettuato decisioni di suddivisione dell’eredità.
La ricerca dell’uguaglianza
In primo luogo, uguale non sempre significa giusto. Siamo portati naturalmente a pensare che l’uguaglianza (equality) possa essere misurata in modo oggettivo, ma, in realtà, esistono diversi modi di misurarla quando consideriamo i possibili eredi di una famiglia imprenditoriale.
Ad esempio, è possibile apportare aggiustamenti per l’inflazione dovuti a gap di età tra i diversi figli, oppure per tenere in considerazione il numero di figli posseduti da ciascun erede, oppure per tenere conto di eventuali donazioni ricevute da alcuni eredi in passato. Dunque, anche il concetto di uguaglianza ha molteplici sfaccettature e interpretazioni e nella pratica è impensabile pensare a una sua misurazione oggettiva.
Cercare di essere giusti, quindi, significa tenere in considerazione una serie di fattori soggettivi, come i bisogni specifici di ciascun erede, il suo impegno e le sue competenze, o altre fonti di ricchezza che un erede potrebbe avere.
La carta dell’equità
Non esiste un modo giusto o sbagliato per perseguire l’equità ma dare priorità all’uguaglianza può non rappresentare la decisione più giusta. Ovviamente per un capo famiglia è molto difficile prendere decisioni in favore dell’equità a discapito dell’uguaglianza poiché i bisogni dei diversi eredi potrebbero confliggere creando dei trade off nelle scelte. Ma è importante riflettere su ciò che è più giusto per il futuro del patrimonio attraverso le generazioni ed evitare di vedere questo tipo di decisioni come un “gioco a somma zero” in cui un erede vince alle spese di un altro che perde.
Il ruolo della comunicazione
La seconda lezione discende direttamente dalla prima: avere discussioni aperte con gli eredi su tematiche di trasferimento del patrimonio aiuta loro a capire, qualora si scelga questa strada, perché la decisione presa sia quella più equa nonostante non vi sia una suddivisione in parti uguali e quindi a sposare il piano di eredità del capostipite mentre questi è ancora in vita.
Non possiamo aspettarci che gli eredi accettino immediatamente decisioni che creano situazioni di disuguaglianza ed è importante considerare la loro prospettiva. La comunicazione, avviata fintanto che il capostipite è ancora in vita, rappresenta un fondamento importante su cui il trasferimento del patrimonio deve essere costruito e la vera leva attraverso cui far capire agli eredi che dare priorità all’equity rispetto all’equality può rappresentare in realtà la decisione migliore per preservare e accrescere il patrimonio attraverso le generazioni.
Direttore del Centre for Family Business Management, Università di Bolzano
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Articolo tratto da “Il Sole 24 Ore” dell’11/07/2022