Il vero Recovery è sbloccare consumi e risparmi congelati

di Roberto Sommella

Aiutati che l’Europa ti aiuta. Il vero Recovery Plan che non necessita di visti, bolli e programmi vidimati da Bruxelles, l’Italia ce l’ha in casa e si chiama risparmio. Bastano tre cifre per spiegare quanto sia ragionato – e calcolato – il rischio delle riaperture decise dal premier Mario Draghi che per l’occasione è tornato a fare il banchiere. Secondo i dati più aggiornati dell’Abi sui depositi bancari a dicembre scorso giacevano 1.736,9 miliardi, il 10,3% annuo in più rispetto al valore di dicembre 2019 e superiore al pil nazionale, mentre in valore assoluto i conti correnti della clientela residente risultano aumentati, in dodici mesi, di circa 162,1 miliardi. Significa che gli italiani sono più ricchi allo sportello dello Stato che prova ad amministrarli e che da soli mantengono risorse spendibili immediatamente pari a circa due terzi del Next Generation Ue spettante al nostro Paese. Questo freno a mano tirato sui conti correnti, che già sta facendo scattare misure severe da parte di alcuni istituti di credito che mettono alla porta i clienti che non movimentano in loco i loro ingenti depositi, ha generato anche 130 miliardi di euro di consumi in meno, sempre nello stesso anno segnato dal Covid.

I governi, prima quello di Giuseppe Conte e poi quello dell’ex numero uno della Bce, per evitare la paralisi economica hanno varato numerosi provvedimenti di sostegno a famiglie e imprese, generando un aumento del debito pubblico solo nel 2020 di circa 150 miliardi. Ma questi soldi, proprio a causa dei ripetuti lockdown e dei coprifuoco, tanto criticati da Matteo Salvini e da Giorgia Meloni, non sono stati riversati nell’economia reale, perché spesso, quella legata a turismo, viaggi e ristorazione ha avuto la serranda abbassata. Con le riaperture il flusso di consumi e risparmi congelati potrebbe perciò dare subito un impulso al pil e contribuire alla ripresa dei fatturati e dell’occupazione e, soprattutto, con una velocità superiore all’afflusso dei primi fondi europei legati al Recovery Plan, una ventina di miliardi che, come annunciato dal commissario europeo all’Economia Paolo Gentiloni a Milano Capitali, bene che vada arriveranno per l’inizio dell’estate. Queste semplici considerazioni fanno emergere come sia fondamentale riavviare il ciclo normale della vita e dell’economia, intesa proprio nel suo originario termine greco, «organizzare i beni di famiglia» dove il bene è il risparmio e la famiglia è l’Italia.

Non a caso, il piano straordinario di Joe Biden da 1.800 miliardi di dollari contro la pandemia si chiama Family Plan. Quanto al Recovery Plan europeo, esso sicuramente rappresenta un progetto straordinario di rilancio e di ricostruzione, con alcune pecche organizzative e di bilancio, come è stato messo in rilievo su queste pagine da Guido Salerno Aletta e Marcello Clarich, ma su cui è bene non contare per quest’anno in modo eccessivo. Serviranno infatti alcuni passaggi fondamentali. In primo luogo, la predisposizione di una contabilità separata presso la Ragioneria Generale dello Stato, dove si inseriranno le voci di entrata (i famosi 221 miliardi di euro) e quelle di uscita (quali programmi pubblici e privati andranno a finanziare); successivamente dovranno essere varate specifiche gare europee per assegnare i fondi stanziati; in terzo luogo, cosa che non è stata percepita forse a dovere dal Parlamento per mancanza di tempo, si avvierà una forte cessione di sovranità dal punto di vista del calendario di riforme che l’Italia si è impegnata col voto di Camera e Senato: la condizione fondamentale per avere tutti i soldi del Recovery Fund sarà sul serio approvare nei prossimi anni la revisione del sistema fiscale, una nuova organizzazione della giustizia, rivoluzionare la pubblica amministrazione e rendere il mercato più concorrenziale. Sono quei compiti a casa che l’Italia stenta a fare dai tempi della lettera della Bce nell’agosto del 2011 al governo Berlusconi, con l’enorme differenza che stavolta l’Unione Europea assegna risorse e non chiede sacrifici ma pretende impegni cogenti, come non si stanca di ripetere il Capo dello Stato Sergio Mattarella.

Il sacrificio sarà perciò legare tutte le prossime leggi di bilancio, legislature e financo esecutivi, a questa missione, che rappresenta qualcosa di molto simile alla firma di un Trattato come fu per il Fiscal Compact. Impegna i governi, i politici e tutti i partiti, dal Pd di Enrico Letta a Forza Italia, fino al Movimento Cinquestelle, passando per Fratelli d’Italia, Lega e la sinistra, a fare la loro parte per il bene del Paese: da qui al 2026, che per il Belpaese è l’eternità. Per questo, badando al risultato finale, occorre che l’Italia sia salvata in primo luogo dagli italiani e da tutti gli uomini e le donne di buona volontà che vogliano rimettersi in gioco, usando capacità, intelligenze e risorse. Risorse che vanno liberate dalla paura del virus.

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Articolo tratto da “Milano Finanza” del 29/04/2021