Inflazione da record e shock sui tassi: per economia e Borse un mondo nuovo
Ottimisti e pessimisti. Dopo i crolli dei listini venerdì, sale il dibattito tra chi ritiene che il peggio sia alle spalle e chi teme di no Tra costo della vita alle stelle e banche centrali restrittive, mercati ed economia reale al bivio: reggeranno l’urto del nuovo scenario?
Jamie Dimon, numero uno di JP Morgan, non ci è andato per il sottile: «Un uragano sta per abbattersi sull’economia» ha detto qualche giorno fa. Andrew Bailey, governatore della Banca d’Inghilterra, non è stato da meno quando ha definito «apocalittico» lo scenario attuale della Gran Bretagna. E guardando il tracollo dei mercati finanziari tra giovedì e venerdì, arrivato solo perché la Bce ha annunciato rialzi dei tassi (forse) più aggressivi del previsto, viene quasi da toccare ferro: non è che Dimon e Bailey abbiano ragione? Siamo all’«apocalisse»? «L’uragano» è arrivato? Stiamo per pagare il conto di anni di denaro facile? Oggi, all’apertura dei mercati, arriverà una prima risposta.
Per fortuna c’è chi – e sono molti – la pensa in maniera opposta. Chi vede il bicchiere mezzo pieno. La situazione attuale è talmente complessa, che l’intero mondo della finanza e degli economisti è spaccato in due tra ottimisti e pessimisti. Tra quelli che pensano che il peggio sia passato, e chi ritiene che debba ancora arrivare. La realtà è che nessuno ha la più pallida idea di come sarà il futuro: il mondo è cambiato così rapidamente che oggi è difficile fare previsioni. Si naviga a vista. E, purtroppo, lo fanno anche politici e banchieri centrali: quelli che fino a pochi mesi fa dicevano che l’inflazione era passeggera e ora corrono ad alzare i tassi perché hanno capito di essersi sbagliati.
Il mondo cambia
Prima di pesare le ragioni degli ottimisti e dei pessimisti bisogna dare uno sguardo ai cambiamenti in atto. Il primo riguarda la globalizzazione: dopo aver guidato il mondo dagli anni 80, si sta bruscamente invertendo. Ormai la maggior parte delle aziende ha capito che tenere catene globali delle forniture troppo lunghe rappresenta un rischio. Basta una pandemia, un porto chiuso o un conflitto, che non arriva più nulla. Tanti stanno dunque accorciando le catene. O intendono farlo. Questo terrà alta l’inflazione. Stesso discorso per le materie prime: improvvisamente ci si accorge quanto siano scarse e dislocate nelle parti più instabili del mondo. Chi, sui mercati, si era mai soffermato a pensare quanto fosse rischioso che molte materie prime strategiche si trovassero in Russia? Il 44% del palladio globale arriva dalla Russia. Idem per oltre il 16 e 17% del gas naturale e dei fertilizzanti. Dall’Ucraina arriva il grano per il mondo. Discorsi simili si possono fare sulla Cina. Scarsità, in economia, significa rincari. Prezzi alti.
Insomma: inflazione. Proprio venerdì è salita all’8,6% negli Stati Uniti e nessuno pensa che possa tornare in tempi brevi sui livelli degli anni passati. L’inflazione è diventata strutturale, come la disinflazione lo è stata negli ultimi 15 anni. Questo ha un impatto enorme sulle banche centrali: dopo 15 anni di generose iniezioni di liquidità, Fed, Bce e le altre si trovano ad alzare i tassi d’interesse a una velocità che non si vedeva da molti decenni. Il problema è che, alla fine dei conti, tutto questo colpisce l’economia: assuefatta da anni di denaro facile e abbondante (che ha tenuto in vita imprese zombie e iper-indebitate), ora i nodi rischiano di venire al pettine. La domanda vera, che divide ottimisti e pessimisti, è: il mondo ha le spalle forti per resistere a un cambio di scenario così improvviso e profondo? Insomma: ci sarà un prezzo da pagare per le politiche monetarie degli anni passati?
Recessione sì, recessione no
È pessimista Robert Almeida, strategist globale degli investimenti di Mfs Investment Management: «Per anni le aziende hanno aumentato i margini, pur con un’economia stagnante, perché potevano tagliare i costi. Riuscivano a farlo perché potevano allungare le supply chain e sfruttare la manodopera in Paesi dove il costo del lavoro era basso, oppure perché potevano usare materie prime anche di scarsa sostenibilità ambientale da qualche parte del mondo. Nessuno lo sapeva. Oggi invece la grande attenzione ai principi Esg ha dato trasparenza alla sostenibilità: adesso ci sono gli strumenti e la sensibilità per capire quali aziende usano manodopera sottopagata o materie prime non sostenibili. I consumatori e gli investitori hanno più informazioni, costringendo le aziende a migliorare i comportamenti. Questo è molto positivo, ma ha un risvolto negativo della medaglia: i costi salgono. E l’accorciamento delle catene globali fa il resto». La domanda è: chi pagherà questi maggiori costi industriali? Le aziende riducendo i margini oppure i consumatori con prezzi più alti? In ogni caso il contraccolpo rischia di essere forte sull’economia.
Ma c’è chi guarda l’altra faccia della medaglia: il fatto, cioè, che oggi il mondo ha una struttura più solida e forte rispetto a quando si trovò ad affrontare le crisi del passato. «Oggi ci sono maggiori elementi di resilienza – osserva Maria Paola Toschi, Global Market Strategist di JP Morgan Asset Management -. Negli Stati Uniti il mercato del lavoro è per esempio molto forte e anche in eurozona la disoccupazione in media è ai minimi storici. In Europa oggi c’è una propensione alla spesa pubblica, cioè al sostegno all’economia, che prima della pandemia non c’era. Basti pensare al Recovery Fund. Le banche hanno inoltre bilanci più solidi e i tassi di default delle aziende sono molto bassi». Questo potrebbe ridurre l’impatto della crisi attuale sull’economia reale. La recessione arriverà dunque? Gli economisti sono divisi.
Mercati: il crollo è finito?
L’incertezza si riverbera sui mercati finanziari. Da inizio anno il Nasdaq ha perso quasi un terzo del suo valore. Le Borse europee vanno da un -17,5% di Milano al -13,4% di Francoforte. Sui mercati obbligazionari il cataclisma è stato ancora maggiore, con prezzi in caduta e rendimenti in forte rialzo. Oggi un Bund tedesco decennale rende l’1,5%: più di quanto non pagava un BTp italiano a inizio anno (1,18%). Questa non è una crisi finanziaria: è un “riprezzamento” globale. I mercati azionari e obbligazionari si stanno semplicemente adeguando al nuovo mondo, fatto di inflazione e di tassi più alti di un tempo.
Il punto è capire se l’adeguamento sia finito dopo tali crolli. Anche qui ci sono ottimisti e pessimisti. Guardando alle Borse, gli ottimisti notano che i multipli (cioè i rapporti tra prezzi delle azioni e utili 2022 delle aziende) sono scesi e si trovano oggi sotto la media storica in quasi tutto il mondo. Segno che oggi le azioni hanno prezzi giusti o addirittura sottovalutati? Alcuni lo pensano e suggeriscono di tornare a investire, pur stando attenti ai settori. Altri pensano di no: i rapporti tra prezzi e utili sono scesi – dicono i pessimisti – solo perché gli utili del 2022 sono ancora sovrastimati da analisti e aziende. La realtà sarà insomma peggiore – sostengono – di quella immaginata oggi. A loro giudizio, dunque, il crollo delle Borse non è finito. Stesso dibattito sui bond. Alcuni ritengono che dopo i forti rialzi, ora i rendimenti siano attraenti. Altri ritengono di no, perché le banche centrali dovranno essere più aggressive per contrastare l’inflazione. Il dibattito continua. La risposta? Dispersa nel vento, direbbe Bob Dylan.
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Articolo tratto da “Il Sole 24 Ore” del 13/06/2022