Jackson Hole, gli occhi dei mercati su Powell

Si attendono indicazioni sull’annuncio del taglio degli acquisti dei titoli

Cosa dirà Jerome Powell? Alla vigilia dell’inizio del simposio di Jackson Hole. organizzato dalla Fed di Kansas City, le attese sono piuttosto elevate. Il summit – anche quest’anno in versione virtuale, dopo un primo tentativo di svolgerlo in presenza – ha natura accademica, quest’anno sarà dedicato alla «Politica macroeconomica in un’economia diseguale». Dal 2007 al 2012, però, il discorso del “padrone di casa” – allora era Ben Bernanke – fu sempre l’occasione per importanti annunci di politica monetaria. Nel 2010, in particolare, lanciò il secondo quantitative easing, nel 2012 il terzo.

Non sempre, in realtà, il summit ha portato grandi novità. Quest’anno però cade in un momento molto particolare; e le aspettative dei mercati sono giustificate: l’epidemia sta finendo – anche se l’incertezza resta elevata, come dimostrano i cambiamenti al programma del simposio – e il Fomc, il Comitato di politica monetaria della Fed, ha già iniziato al suo interno la discussione su quando iniziare a ridurre gli acquisti di titoli, pari oggi a 120 miliardi di dollari al mese.

Molti credono che un primo annuncio avverrà il 22 settembre, data della prossima riunione. Il discorso del presidente Powell, domani, cade quindi a metà strada tra l’ultima riunione prima della pausa estiva, il 28 luglio, e la prima dell’autunno. Già alla fine del mese scorso – dopo una riunione di giugno che aveva mostrato un Fomc orientato a stringere i tempi anche di un nuovo rialzo dei tassi – la conferenza stampa del presidente era apparsa molto più “hawkish” del previsto: la riduzione degli acquisti era già all’ordine del giorno. Le “minute”, gli estratti dei verbali, hanno poi ulteriormente rafforzato la sensazione di una Fed pronta a cambiare marcia.

Le attese per il discorso di domani cadono in questo contesto. Anche se pongono la Fed in una situazione difficile: un mancato annuncio potrebbe anche spingere gli investitori a ridimensionare le loro attese, laddove l’ideale sarebbe mantenerle esattamente a questo punto. I mercati hanno infatti reagito alle indicazioni fornite finora nel modo più appropriato, tenuto conto della situazione complessiva.

Le condizioni finanziarie restano molto accomodanti: l’indice della Fed di Chicago, che riassume oltre 100 indicatori diversi lungo tutta la catena di trasmissione, è lievemente salito dai minimi di inizio luglio, senza però bruschi salti. La politica monetaria può quindi accompagnare la ripresa senza strozzarla.

La curva dei rendimenti è rimasta stabile, rispetto a luglio, nella parte a breve termine, rilevante per la politica monetaria in senso stretto, mentre è leggermente salita tra i due e i sette anni, più importante per il finanziamento bancario dell’economia (che negli Usa, però, è molto meno importante che in Europa). Il cambio effettivo si è rafforzato tornando ai livelli di novembre, mentre l’indice di Borsa Wilshire 5000 ha proseguito la sua corsa, record dopo record (e un massimo ha segnato ieri lo S&P, oltre i 4.500 punti). Il quadro segnala come gli investitori abbiano ricevuto il messaggio senza nervosismi.

Soprattutto, le aspettative di inflazione – nelle loro misure di mercato – si sono ulteriormente raffreddate. Gli inflation swap rate 5y5y, che guardano al periodo 2026-2031, puntano ormai al 2,11%, mentre i break even a cinque anni indicano un 2,43 – dopo aver toccato un massimo al 2,72% a maggio – e quelli a dieci anni al 2,27% dopo aver toccato il 2,52%.

Gli investitori quindi immaginano che la dinamica dei prezzi possa salire nel medio periodo restando però nel corridoio 2-2,5% – come prevede la nuova strategia dell’inflazione media – per poi tornare nel più lungo periodo verso il 2%. La Fed gode quindi di un’ampia credibilità mentre non sembra sia all’orizzonte la possibilità che i forti rialzi di alcuni prezzi – che hanno trainato in alto tutti gli indici – si trasformino in un aumento delle aspettative. Anche i maxi piani dell’Amministrazione Biden – martedì ha avuto il via libera del Senato l’ultimo da 3.500 miliardi – non spaventano più.

Alterare bruscamente questo stato di cose sarebbe decisamente indesiderabile, ma non è chiaro se un discorso puramente formale permetterebbe di raggiungere lo scopo. Gli investitori sono stati molto colpiti dai messaggi dei “falchi”, che ritengono necessario ridurre al più presto gli acquisti; ma sanno anche che la colomba Lael Brainard, che punta alla presidenza, potrebbe costringere Powell a essere molto più prudente. L’attuale presidente ha già ottenuto, in realtà, l’appoggio esplicito della segretaria al Tesoro Janet Yellen, che lo ha preceduto alla guida della Fed, e può stare più tranquillo; ma i giochi non sono ancora conclusi. Una politica monetaria che apparisse ostaggio di queste manovre, però, potrebbe aumentare l’incertezza invece di ridimensionarla come sarebbe opportuno.

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Articolo tratto da “Il Sole 24 Ore” del 26/08/2021