L’Europa debutta sui green bond Super domanda da 135 miliardi

Recovery Fund. Prima emissione «verde» per Bruxelles, che raccoglie 12 miliardi di euro a 15 anni Già pronto il secondo giro nel 2021: la Commissione punta a lanciarne per 250 miliardi entro il 2026

Un cambio di marcia, per la Commissione europea nel percorso che la sta portando a diventare protagonista assoluta sui mercati finanziari del debito, ma anche per il mondo degli investimenti sostenibili, che da ieri ha un punto di riferimento in più. Il significato del debutto di Bruxelles sul mercato dei green bond, avvenuto con il collocamento attraverso sindacato di titoli con scadenza 15 anni per un importo complessivo di 12 miliardi di euro va sicuramente al di là del successo ottenuto dall’operazione in sé, capace di attirare richieste superiori a 135 miliardi e quindi oltre 11 volte il quantitativo offerto.

Queste cifre dimostrano infatti senza dubbio la crescente attenzione degli investitori per i temi legati alla finanza sostenibile, ma rappresentano anche la testimonianza «dell’affidabilità stessa della Ue in questo processo di emissione che non è certo iniziato ieri e giunge anzi al termine di un lungo percorso in cui Bruxelles non ha soltanto annunciato obiettivi ambiziosi legati alla climate neutrality – sostiene Matteo Merlin, Responsabile del team Green and Sustainable Finance di Eurizon – ma ha anche deciso di finanziare gli 800 miliardi del piano Next Generation Eu per il 30% attraverso green bond».

Per far fede ai propri impegni la Commissione ha già in programma un nuovo collocamento «verde» da qui a fine anno e si prepara soprattutto a inondare il mercato con 250 miliardi entro il 2026, diventando così di fatto il principale emittente di titoli con caratteristiche sostenibili. «Dato che i green bond previsti nel piano sono allo stesso tempo di dimensioni enormi e con rating elevati – rileva Patrice Cochelin, Head of Analytical Governance, Sustainable Finance di S&P Global Ratings – è probabile che la Ue diventi immediatamente un benchmark per gli strumenti legati alla sostenibilità, che spesso sono difficili da confrontare fra loro».

L’apporto di Bruxelles non sarà però apprezzabile soltanto dal punto di vista dimensionale, ma si farà sentire anche e soprattutto sotto l’aspetto qualitativo. «Con i suoi elevati standard allineati alla tassonomia europea in fase di sviluppo – fa notare Merlin – la Ue può comportare indirettamente una riduzione del timore del rischio di greenwashing e generare un effetto volano che stimoli un innalzamento dei livelli del mercato in aggregato, in virtù anche di un approccio olistico che unisce i temi sociali ed economici a quelli ambientali, con un occhio di riguardo per le generazioni future».

Che la Ue possa essere presa come metro di paragone con i suoi standard è del resto opinione piuttosto condivisa fra gli addetti ai lavori: «I coefficienti climatici, con contributi dello 0%, 40% o 100% agli obiettivi di cambiamento climatico, potrebbero diventare un punto di riferimento per altri emittenti in questo nuovo mercato e ciò sarebbe visto come un ulteriore segno tangibile di impegno verso gli obiettivi di transizione energetica», aggiunge Cochelin. E l’auspicio generale è che tale esempio possa anche essere di incentivo per altri emittenti – soprattutto sovrani e sovranazionali, anche al di fuori del Vecchio Continente – a spingersi verso un segmento in rapida crescita, ma dove la loro presenza è ancora relativamente limitata, e a contribuire così alla sua maturazione definitiva.

Sotto l’aspetto più strettamente finanziario, il titolo è stato assegnato a un rendimento a scadenza pari allo 0,453% che comprende un piccolo premio riservato in genere alle emissioni «verdi» (il cosiddetto greenium) di 2,5 punti base e che operatori giudicano per questo motivo un valore equo. A strapparselo letteralmente dalle mani sono stati i gestori di fondi (ai quali è andato il 39% dell’emissione), le tesorerie delle banche (23%), le assicurazioni e i fondi pensione (16%), le Banche centrali e le istituzioni pubbliche (13%), le banche commerciali (8%) e anche gli hedge fund (1%).

Dal punto di vista geografico si è invece apprezzata una prevalenza di investitori provenienti dalla Gran Bretagna (29%), seguiti da Europa del Nord (12%), Benelux e Francia (11% entrambi), Germania (10%), Italia (9%), altri Stati europei (7%), Spagna e Portogallo (4%), resto del mondo (4%) e Asia (3%). Il cammino della Commissione non si conclude naturalmente qui, perché il 20 ottobre è prevista la prossima asta per gli EU-Bills, i titoli a breve scadenza, il 25 ottobre la riapertura di alcuni Eurobond già collocati in precedenza, mentre la successiva finestra per emissioni sindacate si aprirà fra l’8 e il 12 novembre: siamo soltanto all’inizio.

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Fonte

Articolo tratto da “Il Sole 24 Ore” del 13/10/2021