L’Fmi taglia le stime sul Pil Usa Migliorano Eurozona e Italia
Il Fondo monetario internazionale taglia le stime di crescita degli Stati Uniti e lancia l’allarme sui Paesi a basso reddito, che restano sempre più indietro. Migliora invece lo scenario per l’Eurozona e l’Italia. Nel World Economic Outlook rilasciato ieri, l’Fmi lima al 5,9% l’aumento del Pil globale nel 2021, rispetto al 6% calcolato a luglio (confermato al 4,9% il dato per il 2022). Una correzione marginale, che nasconde scostamenti più significativi.
Per gli Stati Uniti, l’aumento atteso del Pil quest’anno resta marcato (6%), ma di un punto più basso rispetto alle attese. Che il motore Usa non si surriscaldi troppo può essere un segnale positivo: spinta dai pacchetti varati dalla Casa Bianca, la sua economia registra pressioni sui prezzi che sollevano allerta. Per ora sono transitorie, secondo Fmi e Fed. La banca centrale si prepara a ridimensionare il proprio programma di acquisto titoli.
Meno netta, ma significativa, la correzione delle previsioni per la Germania: 3,1% l’aumento atteso del Pil, lo 0,5% in meno rispetto alle stime. L’economia tedesca accelererà però nel 2022 (+4,6%). Ripresa lenta per il Giappone: +2,4% nel 2021 (lo 0,4% in meno rispetto alle stime).
Tra i Paesi che vedono migliorare la propria pagella c’è l’Italia: quest’anno, il Pil salirà del 5,8%, in linea con i dati del Governo e dell’Ocse. Un miglioramento netto rispetto al 4,9% ipotizzato a luglio dall’Fmi. Nel 2022 la crescita sarà del 4,2%. Il debito pubblico scende nel 2021 al 154,8% del Pil e al 150,4% nel 2022 (era al 155,8% nel 2020). Il deficit sale al 10,2% di quest’anno, per crollare al 4,7% nel 2022. La disoccupazione si attesterà al 10,3% nel 2021 e all’11,6% nel 2022.
Avanza spedito anche il Pil della Francia, che dovrebbe registrare un robusto +6,3% nel 2021. Clamoroso il balzo atteso dall’Irlanda: addirittura +13% quest’anno. Nel complesso, l’Eurozona crescerà del 5% nel 2021 (lo 0,4% in più rispetto alle attese) e del 4,3% nel 2022.
Stabili India (9,5%) e Cina (8%). Su questa però pesano le vulnerabilità nel settore finanziario e immobiliare, come sottolinea sempre l’Fmi nel Global Financial Stability Report (anche questo rilasciato ieri).
Al di là degli scostamenti a breve termine, la divergenza nelle prospettive economiche di fondo tra i Paesi resta una delle principali preoccupazioni dell’Fmi. Le economie avanzate dovrebbero tornare sul percorso di crescita pre-Covid l’anno prossimo, per superarlo dello 0,9% nel 2024. Faranno più fatica gli emergenti: tolta la Cina dal gruppo, nel 2024 il loro Pil sarà del 5,5% più basso rispetto alle previsioni precedenti alla pandemia. Il gap sfiora il 7% per i Paesi a basso reddito. La stessa Cina si ritroverà del 2% circa sotto al trend pre-Covid.
La variante Delta, sottolinea la capo-economista dell’Fmi, Gita Gopinath, ha «azzoppato la ripresa» e impedisce «il ritorno alla normalità». E diventa sempre più arduo l’altro ostacolo: il malfunzionamento delle catene di approvvigionamento globale, che si sono inceppate e frenano l’industria. Insieme al rimbalzo della domanda, al termine dei lockdown, e al picco dei prezzi delle materie prime, lo stop delle supply chain ha acceso l’inflazione, soprattutto negli Stati Uniti, in Germania e in molti mercati emergenti ed economie in via di sviluppo.
Per il Fondo, le pressioni sui prezzi dovrebbero toccare un picco verso la fine dell’anno per rientrare nel 2022, almeno nelle economie avanzate, dove comunque il recupero dei livelli occupazionali pre-Covid resta più lento rispetto a quello del Pil.
In questo quadro di rischi di inflazione e incertezze, l’Fmi raccomanda alle banche centrali di tenersi pronte a intervenire: il fattore sul quale vigilare sono le aspettative. Per ora sono ancorate, ma se dovessero puntare su forti rialzi, le banche centrali dovrebbero rinunciare ad aspettare un recupero pieno dell’occupazione, per evitare spirali che si auto-alimentano. Non siamo ancora a questo punto, dice però l’Fmi. E vanno evitate strette inutili, finché la fiammata dei prezzi resta transitoria.
L’Fmi attraversa una fase delicata, con le accuse che sono piovute sulla sua direttrice generale, Kristalina Georgieva: secondo un rapporto redatto su mandato della Banca mondiale, Georgieva avrebbe fatto pressioni per favorire la Cina nella classifica Doing Business 2018, l’indagine sugli Stati dove è più semplice fare impresa. All’epoca, Georgieva era ai vertici della Banca mondiale, che ha sospeso il rapporto Doing Business. Nella notte tra lunedì e martedì, gli Usa e gli altri componenti del Board dell’Fmi hanno chiuso l’indagine aperta sulla direttrice del Fondo, confermandole la fiducia.
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Articolo tratto da “Il Sole 24 Ore” del 13/10/2021