Lo strabismo che fa comodo alla Federal Reserve
La Federal Reserve, come la Banca centrale europea, è prudente. Ma la Fed, a differenza della Bce, è ambigua: dice esplicitamente di occuparsi solo del breve periodo, ma implicitamente dà suggerimenti per i prossimi mesi, ed anche oltre. È una Fed strabica, perchè le conviene. Peccato che questo confonda l’economia ed i mercati non solo americani.
Alla vigilia delle decisioni della Fed, le due domande principali a cui occorreva rispondere erano le stesse a cui aveva dovuto rispondere la Bce una settimana fa: alla luce dei nuovi dati macroeconomici, la banca centrale continua a pensare che la sensibile crescita dei prezzi del consumo che si sta registrando sia temporanea? E di conseguenza: ci saranno dei cambiamenti nella politica monetaria? La risposta ufficiale che la Federal Reserve ha dato ad entrambi i quesiti è stato un deciso no.
La lettura dello scarno comunicato ufficiale, firmato all’unanimità da tutti i membri del consiglio direttivo, non lascia dubbi. La crescita dell’inflazione è un fenomeno temporaneo. Allo stesso tempo, i miglioramenti in termini di crescita ed occupazione non possono essere considerati né soddisfacenti, né irreversibili. Quindi la politica monetaria deve rimanere ultra-espansiva, e l’orizzonte di riferimento deve essere molto breve. Sulla miopia che deve caratterizzare la visione della Federal Reserve il presidente Jerome Powell è stato molto espicito nella conferenza stampa: l’orizzonte temporale su cui la Fed sta prendendo le decisioni è quello che passa da una riunione all’altra.
Ma quale sarà la bussola? La risposta della Fed è quella che giustamente danno tutte le banche centrali: è il nostro mandato. Peccato che oggi il mandato della Banca centrale americana assomigli ai bei quadri di Emilio Isgrò: sono più le parole cancellate che quelle visibili. La Fed dovrebbe specificare i suoi obiettivi in termini di crescita dell’occupazione e di variazione dei prezzi al consumo. Ma l’obiettivo sull’occupazione non esiste. Riguardo all’inflazione, la Federal Reserve ci dice che nel breve periodo la crescita dei prezzi potrà anche essere maggiore del due percento, che è il target fissato per il lungo periodo. Di quanto maggiore, e per quanto tempo? Non è dato sapere.
Quindi l’offerta esplicita di informazione è insufficiente. Ma la Fed è furba, e offre un surrogato, per placare la domanda: le Previsioni Economiche, in gergo le dot.plot. Di cosa si tratta? È una trovata che risale al 2012, quando nella cassetta degli attrezzi delle banche centrali faceva il suo ingresso lo strumento dell’annunzio vincolante. Il meccanismo è semplice: per influenzare le aspettative, una banca centrale annunzia un comportamento, e si impegna a rispettarlo. Le dot.plot non sono niente di tutto questo: quattro volte l’anno, ciascun membro del direttivo della Fed comunica le sue personali previsioni su cinque variabili fondamentali – tassi di interesse, crescita, disoccupazione, inflazione totale e di base – rispetto a quattro orizzonti futuri: fine anno, a due ed a tre anni, nel lungo periodo. Poi la Fed rende pubblico solo il valore mediano e la variabilità di tali previsioni. Attenzione: la Fed è massimamente trasparente nel dire e ribadire che le dot.plot non sono un annunzio vincolante della Fed. Ma se la fame di informazione è tanta, il gioco è fatto: sarà il mercato a trasformare le dot.plot in un annunzio di politica monetaria. Come è accaduto ieri. Il surrogato diventa l’annunzio implicito di una politica monetaria in prospettiva più restrittiva. Quale è allora il messaggio principale: quello esplicito di breve periodo, o quello implicito di lungo termine? Lo strabismo della Fed sul segnale di politica monetaria è l’esatto contrario di quello che dovrebbe fare una banca centrale, soprattutto in una fase così straordinariamente delicata come quella di una ripresa economica post-pandemica. Lo strabismo provoca il risultato opposto: famiglie ed imprese si confondono, i mercati scommettono, aumenta l’incertezza globale.
Ma la Fed cade comunque in piedi. Il surrogato funziona.
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Articolo tratto da “Il Sole 24 Ore” del 18/06/2021