Passaggio generazionale in studio sempre meno affare di famiglia

Le nuove strade. Il cambio della guardia pianificato già intorno ai 50 anni. Crescono le fusioni e le aperture verso la partecipazione di soci «esterni»

di Massimiliano Carbonaro

Non c’è una ricetta unica per il passaggio generazionale negli studi professionali, ma – come in tutte le ricette migliori – tempo e programmazione sono fondamentali. Quello che appare certo è che è un tema diffuso nel nostro paese e diventato più sentito con la pandemia, come sottolinea Mpo, società da oltre dieci anni advisor per fusioni, cessioni, aggregazioni di studi professionali. Anche per motivi demografici: un avvocato su dieci è over 60, al pari di dentisti o architetti, mentre per commercialisti e consulenti del lavoro si arriva a due su dieci.

La spinta del Covid

Il passaggio generazionale è delicato. Se non gestito per tempo può condurre anche alla chiusura di uno studio che non ha saputo valorizzare le risorse interne. Inoltre il cambio lascia i clienti nell’incertezza e genera preoccupazione tra dipendenti e collaboratori. Senza dimenticare che comunque si rischia una dispersione di saperi e competenze. L’osservatorio di Mpo (760 le operazioni concluse) vede da un lato i professionisti giunti intorno ai 60 anni che cominciano a porsi il problema spinti dal desiderio di dare continuità allo studio restando a lavorare come consulenti. Ma un’altra grossa fetta di titolari interessati è costituita da più giovani, intorno ai 50 anni, con un’attività di successo ma con l’obiettivo di programmare con ampio anticipo il futuro dello studio, magari confluendo in una struttura più ampia. «Quando è scoppiata la pandemia – commenta Alessandro Siess, founding partner di MpO – siamo stati contattati anche da professionisti con strutture articolate posti di fronte ad una situazione imprevedibile: sono operazioni che richiedono una lunga pianificazione e una forte personalizzazione».

Le diverse strade

Non c’è una via unica per pianificare il passaggio. C’è ad esempio chi decide di guardare oltre la cerchia familiare. De Luca & Partners, ad esempio, nei mesi scorsi ha scelto di aprire a nuovi soci per la prima volta non appartenenti alla famiglia De Luca con la nomina come salary partner dell’avvocata Stefania Raviele. «Nasciamo come studio familiare – spiega il managing partner Vittorio De Luca – e la nomina dell’avvocata Raviele è un inedito, ma rappresenta la normale conseguenza, da tempo preparata, della nostra impostazione. Il futuro dello studio è inscindibilmente legato alla crescita professionale dei nostri collaboratori».

Diverso il percorso che ha portato alla nascita di Villa Roveda e Associati, frutto della fusione dello studio di commercialisti Roveda e Associati di Lodi, nato nel 1975, con lo studio Villa & Villa e Associati di Milano: un’unione che non era pianificata, ma che si è concretizzata nel 2019 sull’onda della scomparsa del fondatore dello studio Roveda. «Quando è mancato mio papà per me era importante traghettare il lavoro di alcune decadi nel modo migliore – afferma Angela Roveda, founding partner dello studio –. Essendo avvocata non potevo prendermi questa responsabilità. Con Villa, che conosco da tanti anni, mentre mi stava aiutando a trovare un successore,abbiamo cominciato a collaborare. La prova è andata bene e allora c’è stata la fusione». In futuro lo studio pensa di usare un acronimo come nome staccandosi dai cognomi dei fondatori per diventare un brand.

Ulteriormente diverso il percorso di Ughi Nunziante, da più di 50 anni in attività. Alla base c’è uno statuto di stampo anglosassone che già contiene indicazioni per il passaggio generazionale e persino una clausola che bloccava l’ingresso dei figli dei soci. Regole messe alla prova nel 2018 quando uno dei fondatori ha lasciato lo studio: «È stato un momento di accelerazione – commenta il managing partner Roberto Leccese – dal 2019 in poi è seguito l’ingresso di nuovi soci, in tutto una decina. Età media sotto i 50 anni e tre nuove socie donne».

Il welfare in soccorso

L’Enpacl, la Cassa dei consulenti del lavoro, già nel 2016 ha introdotto un sussidio per aiutare gli studi in questa fase difficile.

Pur con qualche difficoltà l’iniziativa verrà ulteriormente promossa, come spiega il direttore, Fabio Faretra: «Vogliamo fare una campagna di sensibilizzazione perché funziona e incentiva la crescita. Vorremo anche modificare il regolamento per prevedere la possibilità che a essere rilevati siano anche studi di altre professioni, come quella del commercialista».

 

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Fonte

Articolo tratto da “Il Sole 24 Ore” del 19/09/2022