Perchè Powell non cambia rotta

di Riccardo Sorrentino

Va tutto bene. La Federal Reserve ha voluto ignorare ieri gli allarmi lanciati da alcuni economisti e qualche tensione sui mercati – nelle aspettative di inflazione e nei rendimenti – che stanno avendo effetti anche in altre aree economiche (come Eurolandia).

Il maxipiano varato dal Congresso e proposto dall’Amministrazione Biden – 1.900 miliardi che si aggiungono ai 4mila miliardi messi a disposizione l’anno scorso – avrà quindi, secondo le proiezioni di marzo, il classico effetto delle manovre fiscali che non toccano – ammesso che sia possibile – la crescita potenziale (e il piano Biden, che prevede molti sussidi, anche direttamente alle famiglie, e relativamente pochi investimenti, non lo fa). La crescita di quest’anno è stata così rivista al rialzo, fino al +6,5% dal 4,2% indicato a dicembre (ma evidentemente questo è anche l’effetto previsto della campagna vaccinale), con un’inflazione che salirà fino al 2,4% (dall’1,8%). Nel 2022 e nel 2023, invece, l’effetto della manovra è nullo: la crescita è stata sostanzialmente confermata, e così inflazione e disoccupazione.

Quanto accade sui mercati non preoccupa dunque la Fed. Le misure di aspettative di inflazione sono salite molto rapidamente e quelle con un orizzonte temporale più vicino indicano ora un livello della velocità dei prezzi più elevato (era l’opposto fino a inizio gennaio). I rendimenti dei titoli di Stato – che sono un punto di riferimento importante, perché risk-free, per tutta la struttura dei tassi di interesse- sono salite rapidamente, almeno a partire dalle scadenze a tre anni, e si stanno avvicinando ai livelli di inizio 2020, quando l’epidemia era ancora confinata in Cina.

La Fed non ha però ritenuto opportuno intervenire, neanche verbalmente, per “calmare” i mercati, come ha invece fatto la Banca centrale europea (ma in Eurolandia il rialzo dei rendimenti è ancora meno giustificato).

Perché? La Federal reserve non ha individuato – e l’indice della Fed di Chicago, che esamina più di 100 tassi e indicatori, lo conferma – un irrigidimento delle condizioni finanziarie. C’è qualche tensione a monte, ma la situazione complessiva della cinghia di trasmissione della politica monetaria resta soddisfacente. «Se guardate ai vari indici delle condizioni finanziarie – ha spiegato il presidente Jerome Powell – vedrete che mostrano, in generale, che le condizioni finanziarie restano altamente accomodanti». La Fed, ha aggiunto, potrebbe preoccuparsi di fronte a «condizioni disordinate» dei mercati, che evidentemente al momento esclude, ma non da errori di valutazione degli investitori che, nel breve periodo almeno, sono possibili e persino frequenti.

È una scelta giusta? Da un’analisi statica della politica monetaria, sembra di sì: non solo le condizioni finanziarie sono davvero stabili e piuttosto accomodanti, ma le stesse aspettative di inflazione, al momento, mostrano che gli investitori sono più prudenti degli economisti – Olivier Blanchard, per esempio – che prevedono un «incendio» sui prezzi. Confermano in un certo senso che la Fed mantiene la sua credibilità.

Molto dipenderà però da come reagiranno ora i mercati. Di fronte agli investitori, che già prevedono inflazione, c’è la prospettiva di una politica monetaria e una politica fiscale entrambe espansive, senza alcun fattore frenante, per un periodo relativamente lungo. Le loro strategie operative, quelle che hanno portato in alto aspettative e rendimenti, potrebbero esserne incoraggiate. Se dovessero anche perdere equilibrio metterebbero la politica monetaria, che per sua natura interviene sui mercati finanziari, in seria difficoltà.

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Fonte

Articolo tratto da “Il Sole 24 Ore” del 18/03/2021