Private debt in formato retail
Gli investitori individuali rappresentano il 25% di una raccolta da 987 mln (+79%)
di Marco Capponi
Il mercato italiano del private debt ha raggiunto la fase della maturità e lo ha fatto in un periodo complesso, quello della pandemia di Covid-19, momento storico in cui «le imprese si sono indebitate per motivi straordinari», come ha ricordato il presidente di Aifi, Innocenzo Cipolletta, in occasione della presentazione dei dati dell’industria, elaborati in collaborazione con Deloitte. Nel complesso, nel corso del 2021 sono stati investiti nel mercato italiano del private debt 4,6 miliardi di euro, dei quali 2,2 ascrivibili agli operatori attivi nel segmento, in crescita annua del 92% rispetto agli 1,2 miliardi del 2020. «Una grande spinta al private debt è stata data delle garanzie statali», ha aggiunto Cipolletta, «ma queste hanno fornito solo un utile supporto a un’attività encomiabile degli operatori». Ulteriori 689 milioni sono stati investiti tramite piattaforme di digital lending, mentre il debito distressed ha portato 1,5 miliardi (considerando operazioni single-name e acquisto di pacchetti di crediti utp) e gli investimenti di fondi di fondi 187 milioni.
Guardando solo agli operatori core, quelli cioè che hanno investito 2,2 miliardi, il numero di sottoscrizioni (si veda il grafico in pagina) è stato pari a 275 (+28% annuo), distribuite su 142 società (+12%). Si tratta dei numeri più alti mai registrati da questo segmento di mercato che si sta trovando ora a fare i conti con una nuova, inattesa emergenza: la guerra in Ucraina. «Il conflitto», ha ricordato a tal proposito il numero uno di Aifi, «ha portato al rallentamento di una crescita che si prevedeva robusta e quindi ci sarà bisogno di ulteriore finanza per lo sviluppo».
Una voce significativa nel corso del 2021 è stata quella della raccolta, quasi raddoppiata su base annua, per arrivare a 987 milioni di euro (erano stati 551 nel 2020). Anche in questo caso si tratta del più alto valore mai registrato, con una caratteristica che rappresenta un indiscusso elemento di novità: la prima fonte di raccolta (25% del totale) sono stati gli investitori individuali, il cui contributo nel 2020 era pressoché irrilevante. Seguono i fondi di fondi istituzionali al 22% e poi le banche al 14%. Cipolletta in tal senso, in chiusura dei lavori, ha anche fatto riferimento alla nuova legge sui fondi alternativi «che abbassa la soglia d’ingresso a 100 mila euro, offrendo grandi canali di finanziamento alle imprese e fonti di rendimento importanti per gli investitori, visti i rendimenti dell’asset class». Lo studio di Aifi e Deloitte ha inoltre dimostrato come il mercato del private debt faccia gola in gran parte agli investitori italiani: la componente domestica ha rappresentato l’84% della raccolta complessiva. Nell’ambito delle operazioni invece il 90% è stato realizzato da player domestici, mentre il 72% dell’ammontare totale è stato investito da operatori internazionali. A livello qualitativo, Cipolletta ha notato inoltre come «gli operatori siano sempre più vicini nelle modalità al mondo del private equity, portando alle imprese non solo finanziamenti, ma anche consulenza e la capacità di inserirle in un vasto ecosistema di crescita e sviluppo», per poi aggiungere: «Siamo in una fase di transizione molto importante, che farà di questo strumento una grande occasione per la crescita e la trasformazione delle imprese». I numeri del 2021 infatti, ha concluso il presidente di Aifi, dimostrano «che le imprese hanno capito il valore aggiunto di avere al fianco un fondo che le aiuti non solo con la liquidità, ma anche con piani di consolidamento che permettano loro di resistere a condizioni esterne avverse».
Il caso italiano si colloca peraltro in un contesto internazionale dinamico, col private debt che mostra ormai numeri di consolidamento globale importanti. «I mercati internazionali», ha segnalato Antonio Solinas, leader di Deloitte Financial Advisory, «hanno dato segno di forte ripartenza, con 217 transazioni nel quarto trimestre del 2021 rispetto alle 157 del 2019», l’ultimo prima dello scoppio della pandemia.
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Articolo tratto da “Milano Finanza” del 23/03/2022