Private equity alla sfida europea

Investimenti in capitali privati allo 0,21% del pil rispetto allo 0,51% del continente

di Marco Capponi

In Italia gli investimenti in private equity e venture capital sono pari allo 0,21% del pil. La media europea è dello 0,51%, mentre Regno Unito e Francia, prime della classe del Vecchio Continente, svettano rispettivamente all’1,39% e 0,82%. Un divario che deve essere colmato al più presto, ma che dimostra anche come i margini di manovra per il mercato italiano dei capitali privati sia enorme. Soprattutto per crescere in due tra gli ambiti chiave del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr): transizione energetica e digitalizzazione. «La finanza sta prendendo la forma del private capital», ha detto Innocenzo Cipolletta, presidente di Aifi, in occasione del convegno annuale dell’associazione, tenutosi ieri nella sede milanese di Assolombarda con il contributo di Kpmg. «Le masse sono triplicate nell’ultimo decennio, e spesso provengono dal risparmio previdenziale, che viene tradotto in investimenti che remunerano sia sotto il profilo del rendimento sia sotto quello sociale». Un «capitalismo popolare», quello introdotto da Cipolletta, che si sposa coi due megatrend protagonisti del convegno di Aifi. Nel 2021 il private equity ha realizzato 24 operazioni in digitalizzazione e 39 in transizione ecologica, e il venture capital ha fatto anche meglio, rispettivamente con 53 e 22 deal. Ancor più importante il segmento infrastrutturale, che ha rappresentato da solo volumi da 7,7 miliardi di euro (1,3 nel 2020), quasi 7 dei quali riferiti ai comparti tecnologico ed energetico-ambientale. «I fondi», ha evidenziato il direttore generali di Aifi, Anna Gervasoni, «sono stati al fianco delle imprese, anche quelle operanti nei mercati tradizionali, per accompagnarle nella transizione digitale ed ecologica, dando un impulso significativo all’innovazione e alla crescita dell’economia nazionale». Quello che serve adesso, ha aggiunto, «è un impegno continuo dei fondi italiani al fianco dei capitali pubblici, verso nuove forme di cooperazione pubblico-privato».

Un assist colto in pieno da Cassa Depositi e Prestiti, presente al convegno col presidente Giovanni Gorno Tempini, che ha spiegato come per Cdp ormai «il tema di Esg e sostenibilità rappresenti una discriminante per chi viene a chiedere supporto, sia come finanziatore sia come investitore». Un’evoluzione del mercato in senso «qualitativo: non è solo una questione di rendimento, ma l’impegno a rendere il settore più robusto, completo e adatto a sostenere le sfide del futuro». E le potenzialità non mancano, visto che, come evidenziato dai dati Aifi, quasi i due terzi delle imprese manifatturiere del Paese (62%) non hanno ancora intrapreso alcun percorso di transizione green o digitalizzazione.

A fronte delle opportunità immense, l’industria italiana dei capitali di rischio deve però ancora affrontare il vero esame di maturità per far sì che la quota di investimenti sul pil arrivi finalmente a far concorrenza ai giganti del continente. I dati presentati da Aifi hanno mostrato che, a fronte di una crescita degli investimenti effettuati nel 2021 a 16,9 miliardi di euro spalmati in quasi 1.000 operazioni, il confronto con una realtà come la Francia è ancora sbilanciato: oltralpe gli investimenti hanno raggiunto i 36 miliardi, divisi in circa 2.500 deal. E se la raccolta di private equity e venture capital degli operatori domestici è cresciuta su base annua del 111% a 4,4 miliardi, il numero resta ancora al di sotto sia a livelli raggiunti dalla Germania (4,8) che del mercato francese (24,5). Un altro gap significativo è quello degli operatori: in Italia ce ne sono 171, di cui 123 domestici, solo cinque dei quali svolgono però attività livello internazionale. In Germania, dove i player sono 174, quelli domestici sono 131, ma ben 35 estendono la loro attività al di fuori dei confini. Di fronte alle sfide, ha concluso Cipolletta, «serve ora un fondo di fondi che faccia da volano per permettere a sempre più operatori di intervenire sull’economia reale e di recuperare il terreno perso rispetto agli altri Paesi, oltre a misure per allargare la platea di investitori». Si muove in questo senso il recente provvedimento del Mef, che ha abbassato la soglia per investimenti in Fia, «un tassello importante che permetterà l’accesso ai fondi alternativi riservati a una platea di privati sempre più ampia».

E infine, un ultimo passo sarà quello di ampliare in tutta Italia le storie di successo, come quella della Lombardia. Su 1.700 società attualmente in portafoglio degli operatori di private equity e venture capital, ha mostrato la relazione di Aifi, oltre il 30% ha sede in regione, che risulta così la quinta in classifica per ammontare investito a livello continentale: 3 miliardi, che diventano 8,8 includendo le infrastrutture.

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Articolo tratto da “Milano Finanza” del 12/04/2022