Titoli indicizzati, una protezione da usare con cautela

I bond legati all’inflazione un salvagente solo per chi li ha comprati in tempo

L’inflazione mette in apprensione gli investitori? Quando parliamo di mercati obbligazionari viene spontaneo pensare ai bond inflation-linked come il vaccino più naturale e immediato in situazioni simili. Peccato però che i titoli con cedole indicizzate non siano in grado di garantire una copertura efficace dalle perdite che si potrebbero subire quando i prezzi (e di conseguenza i tassi) si infiammano. E che siano quindi da maneggiare con estrema cura, almeno da un semplice risparmiatore.

A sgombrare il campo dalle illusioni e a mettere in guardia contro le possibili controindicazioni che si possono incontrare quando si abusa di una simile medicina o la si assume nel periodo forse meno indicato è Francesco Castelli, che di mestiere fa appunto il gestore di portafogli obbligazionari. «Il 2021 si avvia probabilmente a essere il primo anno da molti a questa parte in cui vedremo un segno meno di fronte ai ritorni garantiti dalle principali categorie di bond, con l’eccezione dei titoli high-yield, dei subordinati emessi dalle banche e degli indicizzati all’inflazione», osserva il responsabile del reddito fisso di Banor Capital, riconoscendo quindi come di fatto gli inflation-linked abbiano da inizio anno «compiuto il proprio dovere, proteggendo i portafogli dall’aumento delle aspettative sui prezzi al consumo».

Il problema sta in fondo proprio tutto qui: chi li avesse acquistati a gennaio o, meglio ancora, durante la sbandata subita dai mercati fra febbraio e marzo si sta di sicuro sfregando le mani, chi invece pensasse di inserirli fra gli investimenti proprio adesso non otterrebbe probabilmente lo stesso risultato in chiave difensiva, anzi. «I guadagni di questi ultimi mesi sono emersi in un contesto particolare, forse irripetibile», avverte Castelli, che per spiegare la propria prudenza ricorre all’esempio dei Bund che maturano nel 2046.

«A differenza dei titoli di Stato tedeschi nominali – ricorda il gestore di Banor – quelli legati all’inflazione con questa scadenza hanno garantito un ritorno di quasi il 15% da inizio anno: parte di questo movimento, il 4% circa, è stato sì determinato all’effettivo adeguamento al rialzo del livello dei prezzi al consumo, ma la parte più significativa resta legata all’incremento delle aspettative riguardo l’inflazione futura». In altre parole, i bond inflation-linked saranno in grado di ripetere la performance recente (o in subordine di mantenere gli attuali prezzi, fornendo protezione a un portafoglio obbligazionario) nella misura in cui le aspettative sull’inflazione continueranno a crescere, cosa che non è poi tanto scontata e forse neppure molto probabile secondo gli scenari che vanno per la maggiore fra gli analisti.

Quando si guarda ai tassi break-even, cioè quelli impliciti nelle quotazioni di un bond indicizzato che permettono al rendimento a scadenza dello stesso titolo di uguagliare quello di un’obbligazione a cedola fissa di analoga vita residua, le aspettative sull’inflazione a lungo termine in Europa sono quest’anno mediamente raddoppiate da circa l’1% a quasi il 2%. «Si tratta di un valore che riporta indietro le lancette del tempo ai primi anni dopo il 2000, quando l’inflazione era strutturalmente più elevata nel nostro Continente», nota ancora Castelli, prima di osservare che «per far ottenere agli inflation-linked un risultato simile a quello del 2021 occorrerebbe che le attese sull’inflazione si portassero almeno al 3 per cento».

Quest’ultimo non è in effetti al momento lo scenario ritenuto più probabile dagli analisti delle principali banche d’affari mondiali e non sembrerebbe neppure la visione dei mercati, se si guarda alla reazione di ieri alle cifre record che emergono dai prezzi Usa. Al contrario, si tende a concedere la massima fiducia alle Banche centrali quando indicano che l’attuale fiammata dei prezzi si rivelerà un fenomeno temporaneo e non permanente. «L’idea è che in futuro l’inflazione sarà più elevata rispetto ai livelli dell’ultimo decennio e che occorrerà magari del tempo per assistere a un aggiustamento degli eccessi di questi giorni, ma non si tratta certo di un fenomeno fuori controllo».

E in un contesto del genere, per chi non li ha già in portafoglio (e per chi non può fare a meno di detenerli come ad esempio le assicurazioni e i fondi pensione, che però hanno un orizzonte temporale di lunghissimo termine) i bond indicizzati all’inflazione possono rivelarsi una scommessa piuttosto rischiosa, viste le valutazioni che hanno raggiunto negli ultimi mesi. Demonizzarli non è di sicuro una scelta corretta, ma affidare soltanto a loro la protezione contro il caro-prezzi sarebbe una mera illusione.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

 

Fonte

Articolo tratto da “Il Sole 24 Ore” del 11/11/2021