Tre ore di faccia a faccia Così Xi e Biden cercano di allentare le tensioni

Primo colloquio nella notte tra i due leader per tenere aperto il canale del dialogo
Gli Usa temono la rincorsa nucleare cinese: testate quadruplicate entro il 2030
di Marco Valsania

NEW YORK

Un summit che la Casa Bianca ha preparato scegliendo parole quali «chiaro» e «franco». Non a caso: hanno dato la misura di aspettative all’apparenza modeste, che in realtà celano obiettivi prioritari e urgenti per Joe Biden nel suo incontro virtuale con il Presidente cinese Xi Jinping. Forse pochi annunci concreti. Ma un faccia a faccia, via teleconferenza nella notte con una durata programmata di ben tre ore dalla Roosevelt Room, che mette nero su bianco la realtà della «dura competizione» sino-americana garantendo che non sfoci in gravi incidenti, incomprensioni e spirali di conflitti. Rischio reso oggi drammatico da quella che il Pentagono considera la corsa al riarmo e i nuovi “muscoli” nucleari di Pechino.

La formula di Biden per la nuova stagione nei rapporti? Tenere a battesimo con il summit, e poi preservare, inedite linee di comunicazione, una «intensa diplomazia» all’altezza dell’altrettanto intenso confronto tra potenze. Canali che si adoperino per far fruttare aree di cooperazione – il clima – e soprattutto sappiano tessere una rete di salvataggio da potenziali scontri. La Casa Bianca, di sicuro, ha moltiplicato gli allarmi per le ambizioni oggi non solo economiche bensì militari di Pechino, da un’annessione di Taiwan e espansioni nel Mar cinese meridionale ad attacchi nel cyberspazio. E agli arsenali atomici che la Difesa Usa, nel suo ultimo rapporto, prevede quadruplicati entro il 2030 – con mille testate e ordigni sempre più sofisticati tra i quali sistemi d’arma ipersonici. Abbastanza da alterare equilibri di sicurezza in Asia e non solo.

Rivelatore delle ipotesi di un cruciale reset adesso coltivate da Biden – qualche osservatore ha già affermato che il vertice sarà il più importante della sua presidenza – è stato anche ciò che ha cercato di lasciare in ombra. Per la prima volta da tempo, la Casa Bianca non ha voluto enfatizzare capitoli economici pur ancora irrisolti. Da battaglie commerciali che vedono Washington mantenere dazi su 370 miliardi di dollari di export di Pechino. Fino ai traumi nelle catene di forniture globali, che scuotono entrambi i paesi. «Non sono punti significativi», ha asserito un collaboratore del Presidente.

Piuttosto, sull’economia, Biden ha inviato a Xi un messaggio indiretto in sintonia con i toni di più ampia sfida strategica: ha orchestrato nelle ore immediatamente precedenti una cerimonia di firma del piano infrastrutturale americano da oltre mille miliardi, volto a rilanciare la competitività statunitense. E a dimostrare qualcosa di più: che le democrazie sanno ottenere risultati efficaci reggendo il duello con regimi autoritari. Xi ha fatto di investimenti in infrastrutture un biglietto da visita per il protagonismo cinese nel mondo.

Il varo delle grandi opere non cancella tuttavia la posizione scomoda nella quale la Casa Bianca è giunta all’incontro: Xi è reduce da un’incoronazione nella rarefatta élite dei leader storici del suo Paese. Biden risente di cali di popolarità interna per gli ostacoli sulla strada dell’economia, di polemiche internazionali sul ritiro dall’Afghanistan e di incognite sul futuro elettorale del partito democratico.

È in questo contesto difficile che affronta così almeno tre partite complementari con Pechino, che ha invitato a «rispettare le regole» del gioco: sul primato tech e industriale; su aree di collaborazione esemplificate dall’impegno contro l’effetto serra al Co26; infine – la più delicata – contro violazioni della democrazia e dei diritti umani e per contenere la denunciata aggressività militare cinese. Qui armi atomiche e non proliferazione nucleare sono considerate area sia di dialogo che di tensioni. Simbolo stesso d’un rapporto sino-americano che un funzionario ha riassunto come «sfaccettato, complesso e senza paralleli storici».

Il budget militare di Pechino è cresciuto rapidamente a 209 miliardi di dollari l’anno, pur distante dai 705 miliardi Usa. La sua marina è leader per vascelli (anche se ha due portaerei contro 11 Usa, una terza in fase di realizzazione che dovrebbe essere pronta nel 2025) e ha sottomarini che possono portare missili atomici. L’aviazione è terza al mondo con aerei “invisibili”. Nel Pacifico Biden ha risposto con l’alleanza Aukus, che darà sommergibili a propulsione nucleare all’Australia. E con nuovo sostegno a Taiwan.

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Articolo tratto da “Il Sole 24 Ore” del 16/11/2021