Trust made in Svizzera

di Paola Valentini

La Svizzera punta a ritagliarsi un ruolo di primo piano nel mondo dei trust dove gravitano, con grande riservatezza, tesori di famiglia ultra-milionari. Con questo strumento un soggetto (il settlor o disponente) trasferisce la proprietà di beni di diversa natura a un altro soggetto (il trustee) affinché questo li amministri con le finalità indicate dal disponente a favore di uno o più beneficiari o per il raggiungimento di uno scopo, garantendo così la trasmissione di generazione in generazione di immense ricchezze. L’antichissimo istituto si è radicato fin dal Medioevo nella common law di stampo anglosassone che si differenzia dalla tradizione di civil law derivata dal diritto romano tipica di quasi tutti i diritti privati continentali, Italia inclusa.

Nei sistemi di civil law la diversa concezione del concetto di proprietà ha di fatto impedito la presenza del trust, anche se grazie alla ratifica della Convenzione dell’Aja del 1985 molti Paesi, come l’Italia, riconoscono questo strumento giuridico, pur senza avere una propria normativa. Quindi in questi Stati si possono istituire trust, ma all’atto della creazione è necessario scegliere la legge estera che li regola, nell’ambito delle giurisdizioni di common law che disciplinano questo istituto a partire dai paradisi fiscali (come Channel Islands o Jersey) con tutte le difficoltà del caso legate alla lontananza di questi Paesi off-shore. Si inserisce in questo scenario la decisione della Svizzera di varare una propria legge sul trust. Una mossa che rientra nella sua strategia di rilancio del ruolo di primo piano nella gestione dei grandi patrimoni dopo la fine del segreto bancario.

Così facendo, grazie alla sua posizione centrale in Europa, la Confederazione punta ad aumentare la sua attrattività nel mercato europeo. «Con tale provvedimento, e alla luce del ruolo centrale acquisito dal trust in ambito di strutturazione patrimoniale e pianificazione successoria, il legislatore ha espresso l’importanza di dotare la Svizzera di uno strumento flessibile, fruibile e trasparente in alternativa alle leggi regolatrici straniere riconosciute e già utilizzate sul territorio grazie all’adesione nel 2007 alla Convenzione dell’Aja», osserva Giuseppe Macaluso, ceo di Capital Trustees, società con sede in Svizzera.

«Lo Swiss Bank Institute ha stimato il potenziale del trust in 2.048 miliardi di franchi, pari al 56% del patrimonio privato detenuto dalle banche svizzere», ricorda Valentina Ottani Sconza, legale del team Trust e Patrimoni dello studio Gianni & Origoni. D’altra parte lo strumento è molto utilizzato anche in Italia pur in assenza di una normativa nazionale (un nuovo studio dell’Università Bocconi prova a fare luce sulle società di capitali italiane con azionista un trust, si vedano box e grafici in queste pagine). E la Svizzera ha pensato naturalmente anche all’Italia nella formulazione di questa nuova normativa. Che l’obiettivo sia quello di una offrire una legge chiara e precisa che diventi un punto di riferimento per i capitali stranieri si evince anche dal fatto che è scritta in italiano, oltre che in francese e tedesco, le altre due lingue ufficiali svizzere. «Ciò la renderà apprezzabile non solo dai professionisti elvetici, ma da una più ampia platea di matrice civilistica, con particolare riferimento ai professionisti italiani che potranno proporre anche questa soluzione alla propria clientela», conferma Macaluso. Certo, la disciplina inglese, in quanto common law, non può essere trasposta di sana pianta ma può essere trasferita con adattamenti ad hoc ed è questo quello che la Svizzera sta realizzando. «Il progetto si caratterizza per pragmatismo e chiarezza, derivanti dal fatto che il legislatore non ha trapiantato nel proprio ordinamento una legge regolatrice di common law, ma ha recepito le caratteristiche essenziali, introducendole tramite un nuovo istituto giuridico e l’adeguamento di istituti esistenti», sottolinea Macaluso. La disciplina «è concepita per operare armonicamente all’interno di un Paese di civil law. Rispettando il principio di tipicità dei diritti reali dei Paesi di tradizione romanistica, la legge svizzera stabilisce che il trustee è proprietario dei beni in trust» e che «l’atto di trust conferisce ai beneficiari diritti a prestazioni o semplici aspettative, escludendo il trapianto dei concetti di legal ownership e equitable interest propri dei Paesi di common law», chiarisce Ottani Sconza. «La norma tiene conto inoltre dei principi internazionali in tema di trasparenza fiscale e scambio di informazioni, nonché di lotta al riciclaggio di denaro e di finanziamento del terrorismo», aggiunge Macaluso. E i tempi sono stretti. Su mandato del Parlamento, il Consiglio federale ha infatti proposto di introdurre il trust, con un unico articolo di 23 commi, nel Codice delle obbligazioni, e nella seduta del 12 gennaio 2022, ha avviato la fase di consultazione delle disposizioni che dovrebbe terminare a fine aprile con previsione di entrata in vigore nel corso del 2023. «L’obiettivo dell’introduzione della legge è dunque quello di garantire certezza di diritto, con il vantaggio che, in caso di contenzioso, non vi sarà più l’obbligo di applicare leggi regolatrici straniere o fare affidamento su procedimenti innanzi a giudici esteri, potendo quindi risolvere eventuali controversie in tempi e modalità più efficienti», dice Macaluso.

Il testotutela i fruitori della norma tramite una responsabilità del trustee che si fonda sulle regole della responsabilità contrattuale. «Di conseguenza, qualora il trustee violasse i suoi obblighi causando danno ai beni in trust o ai beneficiari, egli sarebbe responsabile e tenuto a risarcire il danno. Il trustee è inoltre soggetto ad obblighi di rendicontazione e documentazione della propria attività, nonché di conservazione dei documenti inerenti il trust. Egli deve identificare i soggetti del trust nonché raccogliere informazioni su intermediari quali istituti finanziari, consulenti legali e fiscali, gestori patrimoniali, assicuratori o altri prestatori di servizi che hanno rapporti con il trust», commenta Macaluso. Oltretutto, «dalla bozza del testo si evince come il legislatore abbia voluto agevolare la trasmissione dei patrimoni famigliari, riservando speciale attenzione alla salvaguardia dei diritti dei beneficiari», prosegue Macaluso. Per Ottani Sconza è inoltre «molto interessante la possibilità di introdurre una clausola arbitrale vincolante per disponente, trustee, guardiano e beneficiari».

«Infine, ulteriori forme di controllo sono garantite dal fatto che il trust può essere revocato finché il disponente è in vita, e i beneficiari, se individuati e tutti favorevoli, possono decidere di porre termine al trust dandone comunicazione scritta al trustee», rileva Macaluso. Sarà accolto con favore in Italia? «Alla prima disamina, il diritto svizzero appare una valida alternativa sia per i trust interni, essendo scritto in italiano e concepito per operare in un Paese di civil law come l’Italia, sia per i patrimoni degli italiani amministrati in Svizzera», dice Ottani Sconza. Ma soprattutto la normativa rappresenta un punto di riferimento nel momento in cui i Paesi di civil law volessero fare una legge sul trust. A questo proposito l’Aipb (Associazione italiana del private banking, si veda box) ha presentato alla Banca d’Italia l’esito di una ricerca realizzata presso alcune banche italiane: «le analisi hanno confermato la presenza di una variegata tipologia di approcci messi in atto dagli istituti bancari, a causa dell’assenza di linee guida attente all’evoluzione dell’istituto nella prassi operativa».

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Articolo tratto da “Milano Finanza” del 05/02/2022