Usa, le big bank contro le big tech

di Francesco Bertolino

Incredibile a dirsi: la lobby bancaria americana chiede al neopresidente Joe Biden più regole per il settore finanziario. Stando a quanto riportato dai media locali, i ceo dei grandi istituti di Wall Street e i loro gruppi di pressione hanno domandato alla nuova amministrazione democratica una stretta nel campo dei pagamenti, dei depositi e del credito. L’obiettivo è impedire che fintech colossi digitali come Google, Facebook e Amazon possano fornire servizi bancari senza dover sottostare ai relativi oneri regolamentari e di capitale. Sinora, a detta della lobby bancaria, è stato così. Big tech e fintech hanno potuto prosperare in ambito finanziario grazie a una sorta di arbitraggio normativo: avrebbero cioè fatto concorrenza in teoria lecita, ma nei fatti sleale agli istituti tradizionali, sfruttando i minori obblighi e costi di compliance per offrire servizi più economici e veloci.

Nell’impossibilità di batterli, alle banche non è rimasta altra alternativa che unirsi ai concorrenti in alleanze più o meno equilibrate. Se infatti la collaborazione con le fintech ha perlopiù giovato all’innovazione dei servizi finanziari, le intese Goldman Sachs-Apple e Google-Citi sono parse ad alcuni osservatori una resa delle banche dinanzi all’invasione dei colossi digitali. A Biden – che l’altroieri ha incontrato il ceo di JpMorgan Jamie Dimon – la lobby del credito assegna il compito di livellare il campo di gioco, pareggiando il carico regolamentare su big bank e big tech al rialzo o al ribasso. Al contrario di quanto ci si potrebbe attendere, la prima sarebbe l’opzione preferita dalle banche che ritengono ormai irreversibile l’irrobustimento patrimoniale e dei modelli di controllo interno intrapreso a partire dalla crisi finanziaria del 2008. Anzi, un irrigidimento della cornice normativa sposterebbe gli equilibri, riconoscendo un vantaggio competitivo agli istituti tradizionali più abituati a maneggiare regole e requisiti di capitale rispetto a big tech e fintech. Secondo i critici, invece, la richiesta delle grandi banche americane non è che un modo per coprire la loro incapacità di star dietro al ritmo dell’innovazione tecnologica. La stretta regolatoria su big tech e fintech finirebbe per danneggiare i consumatori e i risparmiatori che grazie all’abbattimento delle barriere d’ingresso hanno potuto beneficiare di servizi finanziari a basso costo e accessibili a tutti.

L’esigenza di maggior equità regolamentare è peraltro avvertita anche sull’altra sponda dell’Oceano Atlantico. Da tempo le banche europee chiedono a Bruxelles di rimettere mano alla direttiva Psd2 per parificare i propri obblighi e quelli dei giganti del web in materia di accesso ai dati. Il cosiddetto open banking, in effetti, ha consentito a fintech e big tech di estrarre dai conti correnti bancari dati utili ad ampliare e migliorare la loro offerta ai servizi finanziari, mentre agli istituti tradizionali non è a oggi permesso consultare le informazioni custodite nei cloud delle grandi piattaforme online. La revisione delle norme sull’open banking da qualche mese allo studio della Commissione Europea dovrebbe quindi assicurare la reciprocità per permettere a banche e big tech di competere ad armi pari.

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Articolo tratto da “Milano Finanza” del 11/02/2021