Il Nobel Shiller: «Probabilità di crash più elevate negli Usa»

L’S&P ha multipli corretti per il ciclo che sono i secondi più alti dal 1980

di Isabella Bufacchi

 

«Viviamo in un pazzo mondo», ha commentato ieri il premio Nobel per l’Economia Robert Shiller, invitato a parlare del mercato americano in un intervento virtuale organizzato da Natixis IM. Shiller ha evidenziato come l’S&P Composite stia viaggiando su un livello che è il secondo più alto dal 1880 pari a 39,6 del CAPE (cyclically-adjusted price-earnings ratio, il rapporto Shiller prezzo utili aggiustato per i cicli calcolato con una media su un periodo di 10 anni per depurarlo dai fattori che dominano il breve termine). Il livello degli Usa, in termini di CAPE, risulta elevato anche a confronto con il resto del mondo, dove l’Europa si trova su un valore moderato, il Giappone più moderato ancora mentre il Regno Unito è a basso costo. «Questa non è la previsione di un tonfo, ma diciamo piuttosto che la probabilità di un crash sia più alta del solito negli Usa, e quindi gli investitori dovrebbero andarci cauti e non mettere tutti i loro soldi sul mercato americano».

In questo mondo impazzito, Shiller vede il Bitcoin come una sorta di epidemia finanziaria «molto contagiosa». Il Bitcoin piace perché ha una storia ricca di misteri (nessuno per esempio sa nulla di certo sull’inventore di questa cryptoasset), e si alimenta con lo spirito anarchico e rabbioso di chi in pandemia vive male le imposizioni dello Stato. Chi investe in Bitcoin è come se volesse «preservare con questo investimento un proprio senso di stabilità», ha detto Shiller, una copertura contro il rischio di dover uscire dal mercato del lavoro in un mondo dove si assumono lavoratori con competenze diverse e nuove.

Il mercato del lavoro, non solo per le sue metamorfosi ma anche per il suo impatto sull’inflazione, è comunque al centro del dibattito in Bce per le decisioni di politica monetaria. Le minute della riunione del Consiglio direttivo del 15-16 dicembre, pubblicate ieri, hanno fatto emergere una lunga discussione sul trend dell’inflazione e sull’importanza dell’effetto delle trattative salariali sull’inflazione di fondo. I membri del Consiglio hanno convenuto che uno scenario di «inflazione più alta più a lungo» non può essere escluso. Sulle proiezioni per il 2023 e 2024, che sono già «relativamente vicine» al target del 2% a medio termine, grava «un’incertezza eccezionalmente alta» e sebbene le aspettative verso il 2% siano «benvenute» in Bce, tenuto conto dei rischi al rialzo sull’inflazione, le proiezioni per il 2023 e 2024 potrebbero «facilmente rivelarsi sopra il 2%». Per questo il Consiglio si tiene pronto ad agire. Al tempo stesso tuttavia dalle minute sono emerse le preoccupazioni dei membri del Consiglio contro una riduzione «prematura» dello stimolo monetario e degli acquisti di attività.

La Bce non ha alcuna fretta di corre dietro alla Federal reserve. A ribadire la differenza tra la politica monetaria della Bce e della Fed è stata ieri la presidente Christine Lagarde in un’intervista alla radio France Inter. «Il ciclo della ripresa economica negli Stati Uniti è più avanti che in Europa. Quindi abbiamo ogni motivo per non agire in un modo così rapido e aggressivo come quello che si immagina farà la Fed», ha detto.

Per Lagarde, l’inflazione «dovrebbe stabilizzarsi e poi calare in modo graduale nel corso del 2022. Si abbasserà forse meno di quanto hanno anticipato gli economisti, ma calerà. Se dovessi dare una cifra, direi che si attesterà al 3,2% quest’anno», come già anticipato dalle stime Bce.

Per Dr.Dirk Schumacher, responsabile di European Macro Research Natixis CIB Frankfurt intervenuto ieri all’evento Natixis IM, il rialzo dell’inflazione nell’area dell’euro è temporaneo perché è provocato prevalentemente da una domanda in eccesso rispetto all’offerta, a causa delle strozzature nelle forniture. Tuttavia, mentre la globalizzazione ha esercitato finora una pressione al ribasso sull’inflazione, la “deglobalizzazione”, se dovesse affermarsi come trend globale, spingerà l’inflazione all’insù. Schumaker ha invitato gli investitori a non preoccuparsi per l’impatto dei rendimenti al rialzo sull’Italia che è altamente indebitata. Le emissioni nette dei titoli di Stato italiani nel 2022, al netto anche degli acquisti Bce, dovrebbero essere attorno ai 30 miliardi e quindi «digeribili» per il mercato. Lo spread BTp/Bund potrebbe allargarsi ma non al punto da poter allarmare.

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Fonte

Articolo tratto da “Il Sole 24 Ore” del 21/01/2022