Il trader fai da te? L’80% è in perdita

La volatilità di inizio 2022 un banco di prova per testare la resilienza delle strategie

di Vito Lops

L’espansione del trading è un fenomeno globale, di cui l’Italia non fa eccezione. Così come però sono globali le statistiche, senza distinzioni geografiche. Quei numeri che ci dicono che alla lunga (che in molti casi tanto lunga poi non è) circa l’80% dei trader finisce per perdere soldi. Questo anche perché nel calderone vengono inseriti tanto i (pochi) professionisti quanto i (molti) dilettanti. Ci può anche stare che nel breve i secondi riescano a battere i mercati. È accaduto ad esempio nel 2020 quando, stando un indice elaborato da Goldman Sachs – molti dei quali ricavabili osservando le statistiche della piattaforma di trading statunitense Robinhood – i “piccoli” hanno registrato una performance di 70 punti percentuali superiori rispetto all’indice S&P 500. Anche il 2021 è stato un anno generoso sui mercati con le principali classi di investimento del risk on (Borse, criptovalute e materie prime) che hanno performato a doppia cifra. Questo vuol dire che in questo momento sono presenti sul campo da gioco tanti trader neofiti con il portafoglio gonfio. Una buona notizia per chi si trova in questa condizione, alla quale fa da contrappeso una pericolosa considerazione: molti trader rischiano di confondere i profitti sinora generati con le proprie abilità. Quello di sentirsi in overconfidence è uno dei tipici errori che può commettere un trader non professionista. Operare all’interno di un mercato che finora è stato molto generoso – soprattutto in virtù dell’abbondante liquidità immessa dalle banche centrali – è un conto. Tutt’altro è farlo quando il mercato diventa più cattivo. E questo 2022, cominciato all’insegna della volatilità con una flessione del 10% del Nasdaq e di molti titoli tecnologici tanto amati dai trader, sarà certamente un bel banco di prova per testare la resilienza delle proprie strategie, così come i propri nervi. Quella dei nervi, e più in generale la sfera psicologica, è la linea più importante per chi decide di cimentarsi nel mondo del trading e di trasformarlo in un’attività. Anche chi ha studiato tanto e conosce molto bene la propria strategia – sia essa basata su analisi tecnica, volumetrica, ciclica o, per chi non ama il trading discrezionale, sui trading system – può cadere facilmente nella trappole emotive dell’avidità e della paura, le due sfere emotive che portano l’80% dei trader nella categoria dei perdenti. I trader professionisti in un certo senso riscrivono la propria mente, la riprogrammano per essere freddi nel momento in cui sono a mercato. Perché dall’altra parte sono chiamati a fronteggiare nei book degli squali (i grandi operatori) che dalla loro hanno più armi per vincere. A cominciare dai volumi e dalla capacità (preclusa ai trader) di incidere sui prezzi con i propri ordini. La seconda arma a vantaggio dei big (fondi hedge, banche d’affari, ecc.) è che utilizzano degli algoritmi in grado di generare 5.000 operazioni in 34 nanosecondi, dove un nanosecondo corrisponde a un miliardesimo di secondo. La terza arma a loro vantaggio è la maggiore conoscenza del funzionamento dei mercati finanziari da cui deriva la capacità di gestire meglio i momenti di elevata volatilità rispetto a un piccolo trader.

È bene quindi conoscere quale è il campo da gioco. Il banco parte in vantaggio. Ma quel 10-20% di trader che riesce ad estrarre quotidianamente profitti da mercati e che può definirsi professionista è la prova che, con passione, preparazione e una certa predisposizione per la matematica e la statistica non è impossibile.

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Articolo tratto da “Il Sole 24 Ore” del 21/01/2022