«La via è giusta, ma tempi e modi per percorrerla sono ancora tutti aperti»

di Alessandro Galimberti

Professor Tremonti, siamo quindi arrivati alla tanto attesa svolta per la fiscalità globale del terzo millennio?

Qualsiasi forma di avanzamento della trattativa è positiva, ma cerchiamo di contestualizzare.

Nel senso?

Che il G7 di oggi non è più il corpo politico di 15 o 30 anni fa, con un codice linguistico (l’inglese) , uno politico (la democrazia) e uno economico (il dollaro), quel Washington consensus attorno a cui ruotavano miliardi di persone. Il G20 raccolse in seguito il tentativo di governance globale, fino all’utopia del Global Legal Standard proposto dall’Italia nel 2008: un trattato multilaterale con le regole per l’economia del mondo imperniate sul passaggio dal free al fair trade. Ma quel modello fu sconfitto da quello del Financial Stability Board, ovvero solo regole per la finanza e non per l’economia. Il G7 di oggi è l’ombra di quel corpo politico.

Questo “relativizza” l’annuncio dell’accordo odierno?

Ma è pur sempre meglio un piccolo passaggio di nessun passaggio. In politica contano anche i simboli. E resta comunque il tentativo di un passaggio storico.

Che vorrebbe superare la fiscalità del secolo industriale.

Partiamo da lì. Primo Dopoguerra, Società delle Nazioni, tema: fiscalità delle società petrolifere. Tra due estremi – potere impositivo al Paese di estrazione ovvero al Paese di incorporazione (Londra, ndr) – uscì la soluzione tecnica della «stabile organizzazione». L’economia stava iniziando ad essere internazionale e gli Stati erano molto forti.

Poi?

Dal Secondo Dopoguerra ad oggi l’economia passa via via dall’internazionale al globale e in parallelo si sviluppa sulla Rete. In questa fase dal lato Usa la scelta è che le multinazionali siano veicolo della democrazia. Con la caduta del Muro di Berlino Internet stesso è un veicolo di democrazia. È così che l’attività economica viene incentivata in un mondo dominato dal laissez faire. In ogni caso è una fase in cui il potere comunque “è” americano, diretto, profondo, pensi al sistema Fatca che impone la giurisdizione Usa.

E oggi?

Gli Stati sono sempre più deboli, la Rete è sempre più forte e la coppia “grande crisi + pandemia” ha radicalizzato i problemi, a cominciare dal bisogno di finanza statale fino agli eccessi di profitti delle big tech. È cambiato lo scenario, con la fine della globalizzazione del Wto il mondo è meno globale e più internazionale. Non è stato, questo, il diluvio universale nè la cacciata dal Paradiso ma è la caduta della Torre di Babele. La terribile coppia crisi + pandemia ha hackerato il software tutto positivo e progressivo della globalizzazione. Il mondo non si sviluppa più sulla geografia mercantile piana del Wto.La storia non è finita come doveva ma è tornata accompagnata dalla geografia su cui si sviluppano faglie di rottura. Il Pacifico è meno Pacifico, l’Artico sta diventando il nuovo campo di confronti e conflitti. Il mondo resta internazionale ma è molto meno globale.

Veniamo alla proiezione fiscale: è possibile un’armonia?

Lo strumento che puoi usare oggi è solo un multilaterale che presuppone un’estensione totale dell’adesione.

Per emarginare i paradisi?

Non è corretto metterla in questi termini anche perchè non ci sono solo i paradisi fiscali, ma anche quelli legali che sono ancora più paradisi. Qui stiamo parlando di assetto strutturale del mondo. C’è un precedente significativo ed è in Europa.

Quale?

Il Mec, 1957. Unificazione fiscale, limitata alle imposte indirette, attratte nell’Iva. Ma si fermarono lì e non arrivarono alle dirette.

Perché, secondo lei?

Perché pensavano che quello era il cuore della democrazia e della sovranità. Fu solo dopo che, fermo quel principio, hanno introdotto adattamenti di armonizzazione: la disciplina “madre-figlia”, le direttive interessi÷ndi, l’anti-abuso. Pensando che fosse sufficiente l’invocazione del dio mercato, il divieto di aiuti di Stato, per superare quello che era un ostacolo politico, e cioè la riserva di sovranità sulle imposte dirette, una tecnica che non si è rivelata fortunata per l’Europa.

Quindi l’occasione dell’unificazione fiscale fu persa allora?

Per i tempi fu già un miracolo inventare l’Iva imposta comune.

E capiamo così, in una lettura storica, perché l’Europa è diventata al suo interno il festival delle aliquote (al ribasso). Siamo ancora figli di quella scelta.

Sono convinto che si deve e si può andare avanti, ma c’è una questione tempo. L’imposta personale progressiva applicata nel ’42 da Roosevelt viene dalla Comune di Parigi del’48. Ci vuole tempo. La materia fiscale non è tecnica, non è contabile, è “politica” per eccellenza.

Il suo giudizio sull’annuncio di oggi?

La via è giusta, il modo e i tempi per percorrerla sono ancora tutti aperti. Dopodiché negli aspetti tecnici si gioca la sostanza e anche l’efficacia delle misure. Un conto è prevedere l’aliquota unica, un conto è permettere basi imponibili diverse.

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Fonte

Articolo tratto da “Il Sole 24 Ore” del 06/06/2021