Proprietà e governance: più donne più crescita

Raddoppiate in 15 anni le aziende familiari non quotate a maggioranza femminile. La ricerca Sda Bocconi-Lazard-Linklaters

di Alessandra Puato

Aumentano in Italia le donne imprenditrici fra le aziende di famiglia e portano con almeno due novità nelle gestione, rispetto agli uomini: una governance più chiara e diversificata, con più disponibilità ad accogliere amministratori delegati esterni. E una minore propensione all’indebitamento. Il risultato sono imprese che crescono di più. Lo rivela la ricerca «L’ownership al femminile Verso la parità di genere nel controllo delle grandi imprese italiane» di Sda Bocconi con Lazard e Linklaters, che verrà presentata domani, 25 ottobre, nella sede milanese dell’ateneo. 

Risultati 

«Per la prima volta abbiamo quantificato la proprietà femminile nei maggiori gruppi italiani, quotati e non dice Alessandro Minichilli, docente in Bocconi e direttore del Corporate governance Lab Sda, che ha curato l’indagine —. Risultato: le donne sono di gran lunga più rappresentate nelle imprese non quotate e quando c’è la proprietà femminile c’è una governance migliore. Le donne fanno meno acquisizioni ma di maggior valore economi co, sono più propense all’internazionalizzazione e molto meno indebitate». «Il dato sorprendente è che quasi un terzo del capitale delle grandi imprese italiane è oggi controllato da azioniste donne dice Michele Marocchino, manager director di Lazard . E in 20 anni raggiungeremo poco meno della metà della proprietà femminile sul capitale di queste aziende. Un’evidenza importante che può portare a un cambiamento virtuoso all’interno delle imprese, sia per governance sia per scelte strategiche». 

L’indagine ha analizzato tre tipi d’imprese familiari: le non quotate con ricavi sopra i 100 milioni, le quotate sul mercato principale e le quotate sull’Euronext Growth Milan (piccole e medie imprese). 

Si è concentrata su tre anni: il 2005, il 2012 e il 2020 (1.315 gruppi consultati nel 2020). Innanzitutto, le donne imprenditrici stanno aumentando più nelle aziende fa miliari non quotate che in quelle in Borsa. Nelle prime, le donne erano il 21% degli azionisti nel 2005 e sono salite al 27,1% nel 2020. È previsto che arrivino al 37,1% nel 2030 e al 44,5%nel2040. Nelle quotate, invece, le imprenditrici sono diminuite in 15 anni dal 21,9% al 20,4% (mentre sull’Euro Next Growth erano i117,5% nel zo2o). Inoltre fra le aziende non quotate quelle controllate da donne sono quasi raddoppiati in 15 anni: dal 9,8% al 17%. 

Veniamo al governo della società e alle scelte di management. L’indice di corporate governance di Sda Bocconi valuta cinque variabili: presenza di un cda, presenza di consiglieri outsider, separazione delle cariche di presidente e ceo, leadership individuale e alta diversity nel board. E di 2,56 punti nelle società femminili contro il 2,32 delle maschili. Nelle aziende con proprietà a maggioranza femminile le cariche di presidente e ceo sono separate nel 42% dei casi, contro il 38% delle aziende a controllo maschile. Inoltre ci si affida a un ceo esterno nel 37,8% dei casi contro il 30,3% delle imprese a maggioranza maschile. «Probabilmente le donne hanno spesso più coraggio di aprire a professionalità esterne, sono consapevoli delle responsabilità», dice Minichilli.

Prudenza 

Sarà un caso, ma «l’incidenza delle consigliere con competenza di risk management è quasi doppia (15% contro 8%, ndr.) rispetto a quella dei consiglieri uomini», dice la ricerca (questo dato è raccolto un campione di 100 medie imprese familiari quotate). Nelle imprese a controllo femminile, poi, il rapporto debito equity medio è di 2,4 volte (dati 2012- 2019), contro le 3,5 volte di quelle a controllo maschile. I ricavi crescono in media nel 2012-2019 dell’1,8% annuo contro l’1,6% delle aziende maschili e la redditività è dell’8,2% se c’è almeno un amministratore delegato esterno alla famiglia contro il 5,7% delle aziende controllate da uomini. 

«Le donne si dimostrano più prudenti nella gestione finanziaria dice Minichilli e più propense a fare operazioni straordinarie all’estero». 

Nelle aziende a controllo femminile le partecipate all’estero sono in media 18 (dato 2020, erano 16 nel 2012) contro le 14 delle aziende maschili (15 nel 2012). Le donne che siedono nel board stanno aumentando ma con un tasso di crescita diverso fra quotate e non. Le prime, obbligate a recepire la legge Golfo Mosca del 2011 sulle quote di genere, in otto anni sono passate dal 9% di donne nei board al 38%. Per le seconde aumento più faticoso, dal 17% al 21 per cento. 

Le società delle imprenditrici sono meno indebitate e più aperte alla nomina di ceo esterni.

 

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Articolo tratto da “L’Economia del Corriere della Sera” del 24/10/2022